Non ci sono dubbi su quale possa essere la mia persona anagraficamente parlando. So benissimo scrivere il mio nome, riesco a pronunciarlo e a ripeterlo senza avere alcun dubbio. Tutti mi conoscono attraverso il mio nome. Chiamano il mio nome, insultano il mio nome, ridonono sentendo dire il mio nome, associano il mio nome alla mia persona (nel bene o nel male).
Pierpaolo Pirruccio è un segno di riconoscimento.
Pronunciando il mio nome e cognome riconoscono oggettivamente la mia esistenza pur avendo una soggettiva interpretazione del mio Io. E allora il nome diventa mera etichetta al pari delle marche che trovi stampate sulle confezioni delle mozzarelle. Associando quella determinata casa produttrice a quella comprovata qualità vai sul sicuro e non ti preoccupi di assaggiarne altre. Ma non tutti hanno la tua stessa opinione sul medesimo prodotto e sarà il personalissimo parere delle papille gustative a fare la differenza fra un'acquisto e l'altro.
Pierpaolo Pirruccio è un segno di riconoscimento.
Pronunciando il mio nome e cognome riconoscono oggettivamente la mia esistenza pur avendo una soggettiva interpretazione del mio Io. E allora il nome diventa mera etichetta al pari delle marche che trovi stampate sulle confezioni delle mozzarelle. Associando quella determinata casa produttrice a quella comprovata qualità vai sul sicuro e non ti preoccupi di assaggiarne altre. Ma non tutti hanno la tua stessa opinione sul medesimo prodotto e sarà il personalissimo parere delle papille gustative a fare la differenza fra un'acquisto e l'altro.
Pierpaolo Pirruccio. La mia etichetta. Dietro l'etichetta, oltre alla data di scadenza fondamentalmente inconoscibile, ristagnano le molteplici realtà che gli occhi della collettività si sono fatti della mia persona. L'esperienza, o ciò che ho lasciato intendere di me al mio interlocutore, al mio amico o al semplice conoscente, ha classificato in linea di massima quella che presumibilmente è la mia forma mentis. La mia. Il singolo. Esperienza. Mia. Io sono così. Sono galante, cortese, simpatico, odioso, maleducato, intelligente, ignorante, stupido, inetto, imbecille, incapace, capace, semplice, coraggioso, timoroso, tenace, titubante, falso, ipocrita, vero, sincero. Io sono agli occhi dell'essere ciò mi è stato dato di essere dall'altrui essere. E di conseguenza, per la legge commmutativa, anch'io ho dato a quel determinato essere fattezze che quello stesso essere mi ha portato a dargli, cadendo in un circolo vizioso di realtà relative pronte ad essere sovvertite da nuove ed opposte esperienze. E allora, mi chiedo, in questo concepimento di un tutto che alla fine risulta essere niente, IO cosa diavolo sono?
Potrei tranquillamente aggrapparmi alla MIA concrettezza, sapendo di essere ciò che IO per ME STESSO ho deciso di essere. Ma il punto è proprio questo: tutte le volte che cerco di aggrapparmi ad una verità cado nella mia stessa finzione. Tutte le volte che pongo salde certezze nel mio comportamento ricado nella più astrusa contraddizione. E' destino che io debba accontentarmi della sola e infima certezza della mia etichetta? Pirruccio Pierpaolo?
Ma di cosa si può essere sicuri? Siamo figli del caso. Di un caso fortuito che non abbiamo nemmeno scelto noi. Mi ritrovo Italiano, Cristiano, con un'adorabile e splendida famiglia (grazie a Dio; potrei anche dire grazie a Buddha o grazie a Maometto, dipende). Avrei potuto essere qualsiasi altra cosa. Ok, lasciatemi almeno il beneficio del dubbio. Ma come si fa ad avere piena coscienza di sé? Eppure ora che sono, che esisto, non posso rigettare me stesso nel mio stesso relativismo. In fin dei conti continuiamo a conoscerci per esperienze, per gradi, con gli opposti dietro l'angolo. E allora, ripeto, di cosa siamo REALMENTE ed OGGETTIVAMENTE sicuri? Quanto l'opinabile natura della vita ci rende falsi per noi stessi e per gli altri?
E' tutta colpa di Pirandello...