venerdì 30 marzo 2012 6 commenti

INFERNO - CANTO XXXVII

TEMPO: 30 Marzo 2012

LUOGO: Inferno. Girone dei banchieri. In una ipotetica piazza affari dannata, banchieri ed economisti passati a miglior vita bruciano senza pietà su roghi di fiamme alimentate dalla stessa quantità di cartamoneta che tastarono in vita. Essendo infinito il supplizio economico dei vivi, altrettanto durature saranno le sofferenze dei maledetti figli del capitalismo per le speculazioni e le ingiustizie che li videro protagonisti.

COLPA: Speculazione premeditata.

PENA: Contrappasso per analogia. Come in vita portarono inferno in terra a coloro che non possedevano cartamoneta, adesso per mano dello stesso denaro bruceranno per l'eternità.

D'odor di barbecue fui traversato,
tant'intenso ch'allo stomaco piacque
benché galeotto fu l'esser tentato.

Lo gran Maestro che prima d'allor tacque
prese voce come cor che si spaura:
«Brucia la carne da cui soldo nacque».

Giacché capirlo fu impresa dura,
fatti che fummo ancor più vicino
compresi del terror la sua natura.

Legati al palo a capo chino
ardevano tra le fiamme del rogo
i banchieri col denaro divino.

Urlavan del grande dolor lo sfogo,
maledicendo l'etterna valùta
che la vita altrui tenne in giogo.

Monti al rogo d'Euro parol s'aiuta:
«Ch'io dannato bruci per la ricchezza,
ché la dignità in fango trasmuta».

La sua carne disciolta più di mezza
pietà fra altri chiedeva da anni,
ma arde l'Euro che più non apprezza.

Ma in vita son fessi a tal danni.

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Nelle puntate precedenti:



lunedì 19 marzo 2012 5 commenti

Hysteria

Caffè. Raro di mattina. Il sole è ancora alto, Bar dello Sport e anziani. Tempo da nullafacenti, noi e i pensionati. Chissà quando la vedremo la pensione. Ma tu ci speri? Io no. Io andrò a cercar fortuna altrove la settimana prossima. Che ne pensi degli Stati Uniti? Io dico che te ne torni qui con la stessa fortuna fra le mani, quella che non avevi partendo e che non hai portato tornando. Pessimista. Tu che farai? Non ne ho idea, per il momento lasciami prendere il mio caffè. Pago io? Guarda che ieri hai pagato tu. Cazzo di nuovo tiepido. A me il caffè piace caldo ed amaro. Hai la vita dolce? Diciamo che la preferisco d'un sapore differente, ma già gustarselo quest'amaro è una gran fortuna. Andiamo fuori. Vuoi una sigaretta? No grazie, fumo solo nel weekend. Guarda quella. Ma avrà quarant'anni. E' una bella donna lo stesso. Lasciami andare via, ci vediamo più tardi.
Caffè. Dopo pranzo. Il sole è alto, ma annoiato, a casa con le cialde. Vuoi caffè? No grazie. Vado. Ciao papà. Porta i soldi a casa insieme a mamma. Mi piace l'idea d'avere una famiglia. Vanno via tutti. Mi metto un po' a computer. Vorrei non avere tempo. Quando ne hai troppo lo sprechi. Però scrivo spesso. Sono felice d'aver iniziato ad usare Facebook quasi due anni fa. Le nuove generazioni ce l'hanno da subito, senza la giusta maturità. E' un rischio non riuscire a discernere fra le stupidaggini e la serietà. Andrò in campagna. Mi piace molto ultimamente. Le piante hanno una maniera così semplice di viversela la vita. E' strettamente necessaria e lineare. Crescono, danno frutti e stanno in silenzio. Lì le lasci e lì le trovi. Vanno accarezzate, ma io poto come Edward piedi di forbice. Gli innesti hanno bisogno d'una certa intimità. L'irrigazione a goccia è geniale. La campagna è fatta di strettamente necessario. Ripaga con lo strettamente necessario. La città sa di superfluo. E' così difficile distaccarsi dal superfluo che è diventato necessario. Siamo in recessione. Ma che ne posso sapere io? Piglia la legna e torna a casa. Ne basta poca, l'inverno sta per finire.
Caffè. Di pomeriggio. Il sole chiude gli occhi, è proprio stufo. Lascia perdere, meglio di no. Risparmiati la cialda per domani, magari stasera. Già, stasera.
Caffè. Quando la gente va a letto. La luna ti conosce, quasi quanto il sole. Da Franco caffè. Mi piace l'aria che si respira lì dentro. Non c'è mai nessuno a quest'ora. Siamo in due. Due caffè. Paghi tu adesso. Io ho pagato stamattina. Perdio vanno via troppi soldi a caffè. Facciamo fifty-fifty. Ok. Vuoi una sigaretta? No grazie, fumo solo durante il weekend. Tu va', nel frattempo leggerò i quotidiani. Ma è passata la mezzanotte, leggi il giornale di ieri. E che m'importa? Ho sempre la stessa puntualità, è il mio quotidiano, anche se è il quotidiano di ieri. Sempre le stesse storie poi, basta stamparci su una nuova data. Riforme, lavoro, crisi, spread, economia, politica, sport, le maledette scommesse sul calcio e il meteo. La corruzione delle istituzioni è lo specchio del popolo complice. La colpa è nostra. Ma che dici, la colpa è della gente che ci governa. La verità su via d'Amelio non si saprà mai. Si sa già, ma non la dicono per paura di dover coinvolgere qualche personalità importante. Dobbiamo uscire dall'Europa. I tassi d'interesse delle banche ci uccideranno. Ma cosa dici? I ristoranti sono pieni. Guarda chi sta entrando. Vedi la pancia? Te lo dicevo che era incinta. Mettere figli al mondo in questo periodo è follia. Sul mio sperma pesa un fardello chiamato debito. E deve ancora fecondare. Lascia perdere la famiglia. Co' tutto 'sto parlare mi hai fatto raffreddare il caffè. Tiepido. Di nuovo. E che schifo. Sigaretta? Un'altra? Ti ho già detto che fumo solamente durante il weekend. Dovrai trovarti un ospizio vicino al mio quando ti rinchiuderanno. Non potremo andare lontano per i nostri caffè. Forse è ora di andare. Devo smetterla di prendere il caffè la notte. Non riesco mai a dormire. Domani a che ora ci si vede? Stessa ora. Aspetta, ma, hai pagato il conto? Credevo lo facessi tu. Io non l'ho fatto. Nemmeno io. Pagheremo domani. Potremmo prenderlo da un'altra parte. Meglio di no. Tanto prima o poi toccherà pagarlo, 'sto conto.
Caffè? No grazie, non fumo, bevo solo nel weekend.
mercoledì 7 marzo 2012 0 commenti

Nell'attesa della sua venuta

Una torrida, odiosa, sudata giornata d'estate. Già difficile viversela fino al tramonto pur tentando di rimanere in luoghi freschi, figuriamoci in chiesa. Ma era domenica, i fedeli di fede facevano comunque il loro dovere e il prete era tenuto a discorrere le sacre scritture. Non ci si poteva aspettare grande affluenza per la messa delle 10:30. Nonostante tutto i più temerari uomini di buona volontà (imposta) tentavano boccheggiando di portare a termine la loro missione. 
Sparsi qua e là, i primi credenti avevano già preso posto in attesa del breve e timido scampanio che avrebbe dato inizio alle celebrazioni. Alcuni con foga cercavano invano di scaraventare aria fresca sul proprio volto appiccicoso tramite ventagli improvvisati, ma il caldo non lasciava scampo e il puzzo di coloro che anche in inverno erano estranei all'igiene contribuiva a rendere difficile la convivenza fra fratelli e sorelle.
Prima lettura. Seconda. Vangelo. Eucarestia. Viscido come un'anguilla e dall'odor di pescheria, il parroco tentò di prendere il sacro corpo di Cristo e di rendere grazie. Si sciolse fra le sue dita e per nascondere la poltiglia la mangiò in fretta. Toccò al vino, caldo come un brulé. Non lo sputò via per rispetto. Disse poi: "Mistero della fede". E i fedeli: "Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell'attesa della tua venuta".
In questo preciso istante l'aria divenne improvvisamente gelida. Nubi grigie e dense impedirono il passaggio della luce solare e un vento impetuoso fece cadere come birilli gli anziani più instabili. Seguirono piccole scosse di terremoto e fra il fragore sordo dei tuoni e fra le urla degli impauriti, un lampo di luce squarciò la vista di coloro che stavano tentando di capirci qualcosa.
Una sagoma candida, pura e splendente si ritaglio nel bagliore. Iniziarono ad intravedersi lunghi capelli ed una folta barba. Lo sguardo serio. Era lui. Il Cristo. Il Cristo in persona, vestito di un'umile tonaca bianca e sandali.
Molti svennero. Altri urlavano. Il prete se la diede a gambe. Le pie donne si prostrarono ai suoi piedi. Gli uomini, credendo che fosse uno scherzo, lo mandarono a quel paese e se ne tornarono a casa. Uscendo dalla chiesa morirono fulminati.
Il Cristo prese parola: "Eccomi qui. Aspettavate la mia seconda venuta? Detto fatto. Non sono qui per portarvi pani e pesci, né per resuscitare i morti. Voglio solamente rimettere le cose a posto. Siete la più orrenda razza di ladri, schifosi, bugiardi, assassini, perditempo, scansafatiche, egoisti, lussuriosi, avari e iracondi che il creato abbia mai conosciuto. E io, anziché mandarvi una seconda alluvione ed uccidervi tutti, ho deciso di riportarvi sulla retta via".
Detto questo si fece portare a Roma. Fece strage di cardinali e vescovi, andò in persona da Benedetto XVI e lo tirò giù dal suo famoso balcone. Mise in galera Berlusconi, annegò il Trota e completò il lavoro che aveva parzialmente iniziato con Bossi (infarto e stavolta niente miracoli).
Aveva una lista completa di tutti coloro che avevano trasgredito la sua legge e pian pianino fece piazza pulita. Ne rimasero così pochi che realizzò che ci si sarebbe sbrigati prima con l'alluvione.
Adesso si poteva ripartire. Comprò giacca, pantaloni e cravatta. Si tagliò barba e capelli e fondò un suo partito: "Futuro e Trinità".
Vinse le elezioni, anche se molti sospettarono che avesse irregolarmente moltiplicato i voti a suo favore.
Divenne Presidente del Consiglio. Non contento cambiando la costituzione si fece eleggere anche Presidente della Repubblica. 
I primi tempi le cose andarono bene. Aveva un ottimo rapporto con i sindacati ed era riuscito a raggiungere il pareggio di bilancio azzerando miracolosamente il debito pubblico. Abbassò l'età pensionabile a 30 anni per le donne e a 40 per gli uomini. Non costruì la TAV, tolse il colore verde dall'arcobaleno e uscì fuori dall'Europa.
Sistemò tutto. Le cose andavano a gonfie vele e i giovani non erano più sfigati. Fu allora che suo Padre lo richiamò su, sapendo già d'aver fatto abbastanza. Ma in quel momento una molla scattò dentro di lui. Il Cristo era acclamato, amato e riverito in Terra. In mezzo alle nuvole non c'era un fico secco da fare e fra i peccati terreni aveva iniziato ad assaporare quello che a sua immagine e somiglianza aveva trasmesso a noi comuni mortali: il potere.
Volle sempre di più, scese a compromessi, utilizzò i suoi poteri per spiare gli avversari e andò ad abitare ad Arcore. Chiese un'igienista dentale, creò dal nulla una nipote di Mubarak e la sposò. Venne indagato ripetutamente per falso in bilancio e saltò il tribunale con la banale scusa di dover andare a Lourdes per compiere miracoli (legittimo impedimento).
Nel frattempo la corruzione dilagò. I suoi funzionari, forti del potere che sotto la sua ala protettiva riuscivano ad esercitare, mandarono in malora quanto di buono era riuscito a fare.
I preti tornarono quelli di una volta, i pedofili pure, la chiesa tornò a non pagare l'Imu e le parafarmacie tornarono a vendere esclusivamente farmaci da banco o senza ricetta. Insomma, la solita, vecchia, marcia Italia.
La gente si stufò anche di lui. Iniziarono a sorgere sempre più numerosi violenti focolai di rivolta e i sondaggi lo davano ormai per spacciato. Tentò di fare qualche miracolo per salvare la faccia, come chiudere Ballarò, Servizio Pubblico e Presa Diretta, ma il suo secondo tempo era ormai finito.
Venne processato, finalmente. I PM se ne lavarono le mani e il popolo lo mise nuovamente in croce. Da allora in poi, durante le celebrazioni, non si rinnova una sua "eventuale nuova venuta" ma si chiedono semplicemente "senno e ragione per coloro che in Terra sono destinati a condurre il Paese".


 
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