lunedì 18 novembre 2013 10 commenti

Quant'è bella giovinezza...

Al grido di "chi vuol esser lieto, sia: di doman non c'è certezza" anche noi abbiamo deciso di visitare Firenze, casa di Renzi e patria del Rinascimento italiano i cui concetti sono stati volutamente accostati per ossimoro a testimoniarne la lontananza non solo temporale ma anche culturale.
Il nostro viaggio è iniziato con 10 apprezzabilissimi minuti di ritardo sulla tabella di marcia dei treni i quali ci hanno permesso di recuperare gli altrettanti minuti di ritardo che avevamo sulla nostra, permettendoci di raggiungere Bologna sani e salvi. Da qui un modernissimo Frecciarossa ci ha catapultati fino alla stazione di Firenze mentre in cuor nostro tentavamo di ringraziare un cielo qualsiasi per non esserci imbattuti in imprevisti spiacevoli. 
Appena scesi riesce difficile non notare i bar e le pasticcerie dei dintorni i quali, avendo surclassato di netto per qualità ed odori uno stereotipato e unto McDonald's, ammaliano i viaggiatori come le sirene fecero con Ulisse. Solo una cosa di quelle gustosissime esposizioni e meraviglie mi rende triste: non poterle assaggiare tutte. Motivo per cui, alla fine, mi riempio gli occhi gustandoli tutti quanti piuttosto che tastarne uno e immaginare il sapore degli altri cento.
Dopo aver lasciato i bagagli in un hotel il cui unico vanto è quello di avere quanto meno un letto e due cuscini, iniziamo la nostra gita fuori porta fra le bellezze delle piazze principali. Imponente e gonfia d'orgoglio si staglia di fronte a noi la cupola del Brunelleschi. Affascinante, è vero, ma come non rivolgere un pensiero a tutti i poveri muratori che lavorarono per lui. Rattrista che la storia per comodità richiami l'autore dei disegni il quale viene consegnato alla gloria e al ricordo, mentre coloro che realmente si sporcano le mani di sangue e sudore vengono dimenticati. Si narra addirittura che gli stessi muratori fiorentini, esasperati dalle durissime condizioni di lavoro per le quali protestavano, vennero rimpiazzati da muratori lombardi, abituati alla fatica e docili da trattare, che se Angeletti, Bonanni e la Camusso si fossero trovati da quelle parti non oso immaginare i cortei.
Non riuscendo ad entrare in chiesa, essendo fuori orario, decidiamo di spostarci verso Piazza della Signoria. Ad osservare l'imponente Nettuno mi viene in mente, da buon critico d'arte quale sono, la vecchia pubblicità del "Lisomucil" contro la tosse grassa che da bambino mi capitava di vedere fra un cartone animato e l'altro. Caratteristico. David? Pure.
La batosta reale in termini d'arte rinascimentale e di cultura me la dà la Galleria degli Uffizi. Riconosco solo le opere di Botticelli, di Caravaggio e di Michelangelo, per non parlare di un Laoconte il cui ricordo era legato ad uno scarabocchio osé fatto sui serpenti. Realizzo che l'unico motivo giustificabile per non apprezzare l'arte è essere profondamente ignoranti ed è per questo che molte cose le ho osservate con gli occhi di un ciuco...
Archiviati gli Uffizi non possiamo che passare da Ponte Vecchio. Qui non servono i raggi del sole a illuminare la via ma bastano i gioielli dei maestri orafi che, custodi di un'arte preziosa quanto costosa, lasciano la bava alla bocca ai comuni mortali e rari souvenir ai russi miliardari. Io mi limito a chiedermi cosa ci sia di commestibile in un anello per cui debba costare così tanto...
Dopo l'immancabile rito della fiorentina al sangue posso anche andar via e un po' me ne vergogno perché se con la mente e l'intelligenza non ho colto le meraviglie italiane del rinascimento posso ben dire di aver apprezzato il magna magna del mio tempo. 
Un'ultima cosa prima di tornare a casa mi ha lasciato riflettere. Se per il treno di andata un fortuito ritardo ci ha permesso di essere puntuali, per il treno di ritorno gli stessi 10 minuti hanno rischiato di farci perdere la coincidenza e il cambio. Si è fortunati o sfortunati non per condizioni, ma secondo punti di vista e allora "chi vuol esser lieto, sia: di doman non c'è certezza..."
martedì 12 novembre 2013 2 commenti

12 novembre

C'è un momento della giornata fatto di coperte, melissa e miele in cui a piccoli sorsi bevo via gli ultimi minuti del dì. Caldi e rassicuranti li deglutisco mentre si avvicina la mezzanotte, ascesa e discesa di discorsi, sorrisi e saluti mancati che quotidiani si susseguono.
Non rimpiango nulla poco prima di addormentarmi, di pigiama vestito e pieno di buoni propositi per il nuovo sole. Ripongo nei cassetti gli indumenti contaminati, pantaloni e maglie cucite sull'ipocrisia e sulla naturale incoerenza dei rapporti umani senza quiete, mentre le palpebre si fanno pesanti e implorano pietà. Solo i piedi restano freddi, sintomo di scheletri nell'armadio che tardano ad uscire e che da tempi remoti fanno salotto fra le grucce e i cappotti. 
Non chiedo altro. Mi basta semplicemente che le mie giornate termino tutte allo stesso modo, sia che attraversino burrasche o sereni sentieri di campagna, lascia che le saluti riposando le membra sotto le mie calde lenzuola. Abbracciami. 
So che condividiamo tutti la stessa luna nella stessa notte. Quando la guardi, anche con un solo occhio date le infelici circostanze, sappi che ti ho dedicato un pensiero.
E' solo questione di tempo prima che l'inconscio abbia il sopravvento ed inizi a proiettare gli istinti visti dalla mente e soffocati dal corpo. Lasciami viaggiare e ti assicuro di poter raggiungere spazi sconfinati dove è anche possibile che la realtà diventi così bella da prendere il posto dei sogni.
Lontano, in silenzio, pace quiete e incoscienza, poi tutto sembrerà perfetto.
Veglia il mio sopore, accarezzalo senza destare sospetti affinché gli dei non invidino la nostra serenità mentre i minuti e le ore sembreranno scorrere veloci come secondi e al prossimo battito di ciglia...
Hai spento la sveglia?
E' sorto un altro, noioso sole. Per fortuna.
 
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