sabato 19 luglio 2014 2 commenti

La barba

Se mi concederete solo pochi minuti del vostro prezioso tempo, gradirei raccontarvi una storia tanto bizzarra da essere reale. 
Vi narro d'un signorotto vecchio stampo, di quelli che placidi si appiattiscono alle abitudini della vita organizzando il proprio tempo fra il lavoro, la famiglia e le beneducate frivolezze dei gentiluomini. Non vi fu bocca sguaiata o malalingua che potesse infangare la sua moralità, alta oltre ogni misura, poiché non veniva pronunciato il suo nome senza che qualcuno elogiasse la sua persona.
A descrivervelo così come agli occhi si presentava, non potrei che lasciarvelo immaginare di media statura, sguardo serio dietro gli occhiali tondi e spessi come fondi di bottiglia, fasciato in un pastrano da soldato e impalato su di un pantalone lungo color castagna che s'adattava alla sua compostezza. Qualche capello lungo ed ingrigito dall'esperienza s'adagiava lungo il cranio semivuoto, scarno, come la sua carcassa che mai piaceri di gola si concesse. Un carattere fra tutti lo distingueva in maniera stranamente rilevante: la sua barba. Una folta ed ispida barba, oscura come la notte buia, insidiosa e affascinante come un bosco senza orizzonte che intimorisce il viandante privo di meta. Nessuno poté mai considerare l'uomo se non per merito della barba e, a giudicare dal seguito della mia storia, non potreste in alcun modo dire il contrario.
Avvenne una notte che egli, per gioco o forse per pura curiosità umana, s'immaginasse senza il gravoso aspetto che quella barba donava al suo viso e, rasoio alla mano, svelto falciò via un pelo dopo l'altro i robusti cespugli delle sue gote. A lavoro finito, liscio come il marmo, s'impomatò per bene la pelle ancora irritata e fiero del suo cambiamento andò a dormire.
La mattina dopo, mentre pigro cercava di destarsi, giratosi su un fianco iniziò a picchiettare sulla spalla della moglie cercando di svegliarla. Lei, voltandosi, aprì lentamente gli occhi e guardandolo in faccia s'alzo dal letto come colta da un fremito di paura. Urlò come una forsennata, scagliò per aria le lenzuola battendo i piedi per terra come un'indemoniata.
"E tu chi sei!?!??!?!?!?!?!? CHI SEI!??!?!?!?! DOV'E' MIO MARITO!?!?!??!?!"
Lui, istupidito, cercò in tutti i modi di tranquillizzarla rassicurandola del fatto che fosse proprio lui, suo marito. Niente da fare. In preda all'ira, lei chiamò le guardie le quali, anziché prendere atto della pazzia della moglie, gettarono fuori di casa e a calci nel didietro il presunto intruso.
A tratti incredulo e a tratti preoccupato dallo scherzo che senza dubbio tutti quanti macchinavano nei suoi confronti, decise di tornare a casa dai propri genitori, anziani ma ancora capaci di riconoscerlo. Fece per bussare che non appena sua madre aprì la porta lo guardò con aria stupita come a chiedersi chi fosse il buon uomo di fronte ai suoi occhi. Lui, sicuro di sé, si fece strada in casa fin quando suo padre, veterano d'armi, non imbracciò il fucile e non lo minacciò di morte.
Con la coda fra le gambe s'incamminò lungo le strade del paese chiedendo aiuto ai suoi concittadini. Nessuno lo riconobbe e videro in lui solamente le scelleratezze d'un vecchio pazzo di quartiere. Rassegnatosi all'idea di non essere più riconoscibile senza la sua importante barba, si abbandonò ai vizi immorali degli ominicchi di poco valore e in pochi giorni si beò di quanto la sua rigida esistenza non gli aveva mai concesso di vivere. Abituatosi alle pazzie non si accorse che giorno dopo giorno la sua barba ricresceva finché una mattina, svegliatosi, non se la ritrovò sulle guance folta come un tempo.
Uscito dalla bettola nella quale viveva, si recò al bordello in cui da poco tempo a questa parte era solito andare. I suoi concittadini lo riconobbero subito e guardandolo entrare in quella casa di vizi lo additarono delusi e amareggiati vedendo un esempio di così grande virtù mischiarsi con la feccia mondana.
Lui, completamente rincoglionito e ancora convinto del suo anonimato, continuò a spassarsela fino a quando sua moglie lo incontrò per strada ubriaco fradicio. Vedendolo intrattenersi con una donna di facili costumi, gli si avvicinò e gli diede un ceffone così forte da rigirargli il capo come solo Linda Blair sa fare ne "L'esorcista".
"BRUTTO PORCO" gli urlò.
Lui, in preda alla schizofrenia, si strappò uno per uno i peli dal volto tornando glabro e liscio come il culo di un bebè. La moglie, stranita, lo guardò e gli disse:
"Mi perdoni. Sono mortificata. L'avevo scambiata per un'altra persona..."
Privo ormai di senno lasciò che la ragione lo abbandonasse del tutto mentre la neuro lo portava via, avvisata dai suoi stessi concittandini che non si spiegavano da dove fosse sbucato quel vecchio pazzo. Da allora, impaurito dalla peluria, passa le sue giornate rinchiuso in una stanza dalle pareti di gomma, spillandosi via con cura qualsiasi pelo tenti di farsi strada fra le sue carni...
martedì 8 luglio 2014 0 commenti

Nettuno se ne fotte, ancora una volta...

A volte non c'è cosa migliore nel corso delle nostre giornate che avere la possibilità di perdere del buon tempo, sostando inermi di fronte alle frenesie della vita. Senza pretese, senza orario alcuno o appuntamento, limitandosi a scrutare ciò che ci circonda guardandolo vivere e respirare.
Dalla mia postazione riesco a distinguere il formicolio impazzito della gente in viaggio, in cerca di qualcosa, con un treno da prendere o da salutare, trascinando valigie o pesanti zaini che portano il fardello del futuro, nascosto fra i libri di diritto e appunti di chimica.
Una graziosa e curata vecchietta si avvicina al mio tavolo e prende posto.
-Ti do noia? - mi chiede garbata.
-Per carità... - rispondo.
-Sembri molto giovane. Se mi dessero vent'anni adesso rifiuterei senza battere ciglio.
-Io ne ho ventitré, s'immagini.
-Oh Madre Santa, mi dispiace per te. Ai miei tempi era tutto diverso. Bologna splendeva, era la Parigi d'Italia. Fiumi di champagne scorrevano per le strade. Quanta baldoria, si ballava fino a tarda notte e nessun ristorante ci negava un pasto caldo prima d'andare a letto.

Intimorito dai ricordi impregnati di nostalgia il cui esordio dei "vecchi tempi" è sempre d'obbligo come i "c'era una volta" delle favole per bambini, mi limito ad annuire. Resta comunque difficile arginare un fiume in piena, specie quando si tratta di gioventù lontane e di piaceri trascorsi.

-Nessun uomo ha mai osato sfiorarci nemmeno con un dito. E noi lo sapevamo, ci facevamo desiderare. Che eleganza, avremmo potuto conquistare il mondo solo a volerlo, ma ci hanno sempre trattate da gran signore, senza mai lasciarci trascinare dalla volgarità. Non come oggi. Ricorda bene, una donna di classe lo è anche con il pantalone lungo - concluse puntando il dito verso il cielo, come a voler dettare una massima di vita da incidere su pietra.
Un cameriere evitò che la situazione degenerasse.
-Un caffè per favore. Per lei? - chiesi in preda alla cortesia più modesta che si possa immaginare.
-Per me niente grazie. Sto già bene così. In tutti i sensi. La vita mi ha già offerto abbastanza, adesso sono in pensione. Ho lavorato per un'intera vita e me la sono sempre cavata da sola.
-Sarà stato fortunato suo marito - chiesi intrepido.
-Ma quale marito! - ribatté - Io non ho mariti. Ne ho avuti di uomini prestanti a farmi la corte, ma niente. Sono sempre stata da sola, io voglio star tranquilla. Esco e rientro senza rendere conto a nessuno. E ne ho visti di posti. Adesso mi godo i miei anni.
-Scelte di vita - dissi.
-Certo, c'è anche chi fa la scelta sbagliata. Quell'altra, insomma. Tu cosa fai nella vita? Qui tutti parlano di crisi. Poi le vedi in giro con il sedere di fuori, tatuate sulle braccia e con i piercing al naso. Alcune carinissime pure, ma con un linguaggio da far ribrezzo. Chi mai potrà darti da lavorare? Quando andavo a lavorare io al mattino ci alzavamo prestissimo. Ci vedevamo per la colazione e arrivati in corsia eravamo già pronti per iniziare. Lavoravo in ospedale sai? Adesso li vedi con le facce sporche che si strofinano gli occhi e sbadigliano. Non hanno nemmeno il tempo per la doccia dopo essersi svegliati. Quanto eravamo belle...
-Ha proprio ragione. Mi spiace lasciarla, credo di dover andare adesso. Piacere d'averla conosciuta.
-Piacere mio. E non andare troppo di fretta. Pensaci. Sa, la vita fa presto, a sbagliare è un attimo...
 
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