giovedì 15 gennaio 2015 5 commenti

Parra cu idda

"Io amo questa città con un rapporto sentimentale preciso: quello che può avere un uomo che si è innamorato perdutamente di una puttana, e non può farci niente, è volgare, sporca, traditrice, si concede per denaro a chicchessia, è oscena, menzognera, volgare, prepotente, e però è anche ridente, allegra, violenta, conosce tutti i trucchi e i vizi dell'amore e glieli fa assaporare, poi scappa subito via con un altro; egli dovrebbe prenderla mille volte a calci in faccia, sputarle addosso "al diavolo, zoccola!", ma il solo pensiero di abbandonarla gli riempie l'animo di oscurità." 
(Giuseppe Fava, da "I Siciliani", 1980)

Le viscere e gli intestini di noi siciliani sono maledettamente avvelenati da una dolce seppur triste malattia che in maniera quasi scellerata ci lega alla terra natìa. E non ci saranno luoghi oltre lo stretto che sapranno carezzare le nostre gote come il vento che spirando da sud ci riporta gli odori delle zagare e degli arancini. E come affamati da quei ricordi continueremo a trascinare sulle nostre spalle il pesante fardello della nostalgia, perché non osiamo immaginarci altrove se non fra le sponde delle nostre torbide e limpide acque. Tuttavia non esiste male peggiore e non esiste cura migliore per un cuore che a fatica si fa forza, trascinandosi oltre le rive del mare che ci circonda e da cui siamo stati generati, emarginati, vittime della nostra stessa solitudine.

"Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui noi abbiamo dato il 'la'."
(Giuseppe Tomasi di Lampedusa, da "Il Gattopardo")

Abbiamo il volto sfigurato dalle mille e una notte fatte di stelle bizantine, romane, arabe, normanne, mentre a capo chino abbiamo sempre accettato questo o quell'altro padrone, eterogenei e senza personalità, uno nessuno e centomila ancora una volta e invano, in eterno, cerchiamo di guardarci allo specchio per riconoscerci. Tutto e niente, mentre fra le vie dei nostri quartieri eleganti e signorili si intrecciano le sinuose forme del barocco e del rococò, testimonianze di chi ha saputo conciarci come una bella sposa prima d'andare in moglie a molteplici mariti. Ed è forse questo che siamo: eterna ricerca di noi stessi, travagliata miseria che inerme sfocia nella noia ma che sa d'incanto.

"Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali."
(Giuseppe Tomasi di Lampedusa, da "Il Gattopardo")

L'isola che non c'è e quella che verrà, nei sogni di chi l'ha vista solo in cartolina e di chi l'ha vissuta con le sue contraddizioni. Ma finché resta tempo lasciami dormire, rapito dal lungo sopore da cui mai vorrò destarmi, cullato dall'onirica voglia di non vederla mai cambiare, affinché tutto resti com'è, in disordine. Ma lasciami qui, fra la Valle dei Templi e l'Etna, fra la Scala dei Turchi e Ortigia, fra Anapo e Aretusa, tra cannoli e cassate voglio vivere il mio tempo.

"Di fronte m’eri Sicilia, o nuvola di rosa sorta dal mare! E nell’azzurro un monte: l’Etna nevosa. Salve o Sicilia! Ogni aura che qui muove pulsa una cetra od empie una zampogna e canta e passa…Io era giunto dove giunge chi sogna."
(Giovanni Pascoli, "L'isola dei poeti")
 
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