Avrei preferito ricominciare a postare, dopo tutto questo tempo di pausa creativa, senza appesantire le vostre noie con un'attualità che già conoscete. Purtroppo i TG di quest'ultimo periodo hanno contribuito, giorno dopo giorno, ad accrescere i livelli di vomito acido e rancido dentro il mio stomaco fino a giungere, adesso, alla sboccata definitiva con questo post.
Prima gli Europei, adesso le Olimpiadi. Un anno sportivo, pieno d'eventi a rotazione e con la Rai che si rimpinza di diritti televisivi, share e pubblicità. Purtroppo però, nello sport che move il sole e l'altre stelle, un'improvvisa eclissi ha gettato un'ombra densa e pesante su un nostro atleta montanaro e ghiotto di Kinder Pinguì: Alex Schwazer.
Il 6 agosto infatti, dopo un controllo antidoping a sorpresa del 30 luglio scorso, viene trovato positivo all'EPO (eritropoietina), decretando l'inizio del suo inferno in terra fatto di tribolazioni e gogne mediatiche. Una società pulita e corretta come la nostra non può permettersi scivoloni del genere, ancor più in ambito sportivo, dove siamo abbastanza forti da eccellere senza l'aiuto della scienza. Vergogna, biasimo e vituperio quindi brucino come rogo le carni del povero Schwazer, perché noi non perdoniamo, lo sport non perdona, la legge non perdona, le regole... vanno... rispettate... senza "se".... e... senza... "ma"... un gesto... riprovevole... che occorre... condannare? Io non so se tutte le giornaliste o i giornalisti che si sono cimentati nella diffusione della notizia hanno abbastanza senso della realtà da non rendere i loro servizi così ipocriti e schifosamente falsi. Non posso chiedere, sia chiaro, che non si condanni il gesto di Schwazer, ma ho come l'impressione che tutti ci stiano prendendo un po' la mano e che abbiano trovato il momentaneo capro espiatorio per la purificazione di peccati che da lungo tempo ci si ostina a nascondere.
Lo sport, ormai dagli anni 50, si trascina dietro un'accozzaglia di elementi guasti, falsi e bugiardi che giocano al piccolo chimico. Ogni ambito della vita è intriso della stessa voglia di riuscire e superare il prossimo salendo il gradino più alto del podio, in un circolo vizioso che in onor del fine giustifica ogni mezzo. Non si tratta di doping, si tratta d'arrivare per primi. Ma continuiamo a parlare di sport.
Hulk Hogan nel 1994 in un processo per doping contro la World Wrestling Federation ammise di aver utilizzato steroidi per 12 anni.
Ben Johnson, centometrista, corse come un missile durante i Giochi olimpici di Seoul, vincendo la medaglia d'oro, stabilendo un nuovo record mondiale e stracciando il suo rivale Lewis. Alcuni giorni dopo, analizzando le urine del supereroe, venne rilevata la presenza di steroidi e il povero Johnson fu costretto a riconsegnare la medaglia.
Arnold Schwarzenegger, bodybuilder di fama mondiale e sette volte Mr. Olympia, ha ammesso d'aver fatto uso di steroidi anabolizzanti. In risposta a quanto dichiarato da Arnold, il vecchio presidente Bush Sr. lo nominò quindi direttore del Consiglio sul Fitness e sullo Sviluppo Fisico.
Sylvester Stallone ha per anni fatto il fattorino degli steroidi. Un po' come l'uomo del latte, con l'unica differenza che davanti al portone di casa lui lasciava siringhe e lacci emostatici.
Daniele Seccarecci, bodybuilder italiano, è stato da poco arrestato per uso e commercio di sostanze dopanti. Ora, se vi posto una foto di Hannibal Lecter voi dubitate che sia vegetariano. Se vi posto una foto di Seccarecci, credete forse che sia diventato così a fette biscottate e marmellata?
Mark McGwire, giocatore di baseball statunitense, sfondò nel 1998 il record di 70 home-runs. Osannato come un Gesù Cristo nella sua ipotetica seconda venuta, nel gennaio 2010 ammise d'aver fatto uso di steroidi. Barry Bonds nel 2001 ruppe il record di McGwire: 73 home-runs. Almeno lui era pulito. Invece no. Doping anche stavolta. Si alzò un polverone e saltò fuori il nome di Victor Conte, papà steroide, ex musicista, fondatore della BALCO (centro di studio e ricerca). Si scoprì che aveva fornito sostanze dopanti a centinaia di atleti professionisti. I suoi campi di gioco preferiti erano quelli del baseball e delle piste olimpioniche.
Ci siamo limitati al farmaceutico-scientifico, ma non dimentichiamoci che il problema non è il doping in sé, ma il raggiungimento della vetta, con qualsiasi mezzo possibile.
Tonya Harding, ex pattinatrice artistica su ghiaccio, nel 1994 ideò un piano diabolico insieme al marito Jeff Gillooly per mettere fuori gioco la rivale Nancy Kerrigan. Dopo alcune indagini emerse la verità: Jeff e Tonya furono accusati d'aver pagato un teppistello affinché colpisse Nancy al ginocchio con una spranga, in modo da farle guardare i Giochi olimpici invernali dalle tribune seduta comodamente su una sedia a rotelle.
Rosie Ruiz, maratoneta, (e qua c'è da ridere un sacco), vinse nel 1980 la prestigiosa maratona di Boston, siglando il tempo record di 2.31'56'', migliorando di oltre venti minuti i tempi precedentemente stabiliti. Giunse al traguardo fresca come una rosa, non puzzava nemmeno di sudore e spiegò ai giornalisti che, semplicemente, "si era svegliata piena di energie" quella stessa mattina. Già, piena di energie e con i biglietti della metropolitana in tasca. Si scoprì infatti che la Ruiz più di una volta si servì della metro per accorciare le distanze e per questo motivo nessuno poteva testimoniare il suo passaggio ai checkpoint. Perché doparsi, quando puoi semplicemente pigliare l'autobus?
Tiger Woods, celebre golfista statunitense, si è sottoposto ad un'operazione agli occhi detta Lasik e adesso la sua acutezza visiva raggiunge i 20/15. Per rendere l'idea, un occhio sano e funzionale può raggiungere i livelli massimi di 20/10. Woods è quindi decisamente sopra la media e potrebbe infilare senza problemi una pallina da golf nel vostro ano mentre correte nudi dall'altra parte della strada.
Adesso tenetevi forte perché siamo alla frutta.
E' proprio questo il punto. "Ogni singola persona cerca d'avvantaggiarsi sull'altra, al fine di vincere quella determinata battaglia". Qui non si tratta di Schwazer, non si tratta di Arnold o di tutti gli altri fanfaroni che hanno venduto l'anima al diavolo pur d'arrivare in alto. Il problema è la lunga, incessante corsa dell'evoluzione e della sopravvivenza che lascia spazio solo al mito, al supereroe, dove non c'è posto per i mediocri ma solo per chi eccelle. E la società marcisce, perché ogni concorrenza può essere una minaccia e a decretare chi sarà il pesciolino rosso o lo squalo lo decide chi per primo mangia l'altro. Non c'è tempo, in ufficio, in pista, in strada, in campo, sul ring. La vetta non aspetta.
Schwazer non impersona il dramma dell'atleta che è caduto nel baratro del doping, vorrei che lo capiate. Schwazer è l'ennesima metafora di una vita che non conosce morale e sa contare solamente fino ad 1.