martedì 25 febbraio 2014 4 commenti

Gondole e coriandoli

Rare sono le bellezze che a vederle più di una volta anziché stancarti riescono ancora a sorprenderti, quasi come se ad ogni sguardo si rinnovassero, più sfarzose ed eleganti di prima, lasciando un'aura di sogno e libidine. L'ho rivista tante volte Venezia, in occasioni e circostanze sempre diverse, ma di qualsiasi abito si vesta mantiene sempre l'eleganza di una gran signora le cui grazie non smettono mai d'incantare.
Vestita di colori e stravaganze non l'avevo ancora conosciuta e quale migliore occasione se non quella del Carnevale per incontrarci di nuovo fra gondole e coriandoli. 
Per un treno che va, un altro ne viene, e decidiamo quindi di partire nonostante le previsioni non promettano nulla di buono. Un sabato sera di piogge intense rischia infatti di rendere più breve del previsto la nostra gita fuori porta, ma a volte la fortuna aiuta proprio i temerari e poco dopo essere arrivati lo spirito d'arlecchino ci ha concesso di chiudere gli ombrelli. Volendo pur considerare la notte giovane, gli orologi, vittime del divertimento, scandirono ore e minuti al ritmo dei secondi e in men che non si dica le scorribande e gli eccessi tipici del disordine carnevalesco culminarono in un ronfo di nasi dal sapor di domenica.
Una giornata di sole, di ricami e di sfarzi ci attendeva il giorno dopo.
Ad essere testimoni dello spettacolo e dell'ambiente in cui all'improvviso ci si ritrova, è quasi come catapultarsi nel più elegante e nobile Rinascimento, quando ancora l'impiccagione e la ghigliottina sostituivano i servizi sociali e la prescrizione, periodo in cui anche la peggiore delle Ruby manteneva un certo decoro ed onore.
A voler venir fuori dai tempi moderni si fa presto e trovando una maschera la cui appendice nasale è degna delle menzogne dei miei anni ho deciso di trasfigurarmi anch'io. Il cappellino da doge mi conferiva definitivamente l'onorificenza di
Sua Serenità che molti in questa vita mi hanno attribuito per via della mia pacatezza d'animo, in siciliano meglio conosciuta col detto di "futtitinni e pensa a saluti", o col dantesco "non ti curar di loro ma guarda e passa", a voler essere poeti.
Ricoprendo un ruolo fra i giochi e i travestimenti che annullano ogni identità, quasi ci si sente purificati dietro i ricami di plastica delle maschere, come a voler espiare i propri peccati dimenticando se stessi. E allora dame e damigelle, nobili e uomini d'alto rango, cortigiane e regine, spadaccini e moschettieri, tutti e nessuno a far parte del più fantasioso Carnevale che io abbia mai visto, incorniciato in una Venezia signorile e raffinata.


Ogni sogno per quanto bello possa essere non ha altro destino che palesarsi nella realtà, cessando d'esistere. 
Il nostro risveglio portava il nome delle Ferrovie dello Stato ed entrare in treno è stato come attraversare il passo delle Termopili in mezzo ai 300 spartani. Alla fine ce l'abbiamo fatta e mentre ci rimettevamo in marcia una donna di mezz'età ha pensato bene di parlare di suo figlio, laureato in fisica nucleare e che non trova lavoro.
A volersi mascherare si diventa buffoni solo in certe occasioni. Per la nostra classe politica, che di maschere non ne usa, deve sempre essere Carnevale...

giovedì 6 febbraio 2014 0 commenti

La tavola rotonda

A tal punto da far impallidire Lucullio, la Vita servì le più succulenti pietanze di cui disponeva. Per evitare che i commensali intendessero male la disposizione dei posti o che Incomprensione e Maldicenza fantasticassero sui lati lunghi e sugli angoli, si decise di apparecchiare su di una tavola rotonda. 
L'ora del banchetto s'approssimava e già i primi ospiti giungevano e prendevano posto. Per primi si sedettero Onestà e Slealtà; seguirono Coerenza e Ipocrisia, a braccetto accompagnati da Benevolenza e Maldicenza; chiusero la fila Misericordia e Incomprensione; anche se in ritardo, trovarono posto Quiete e Tempesta. Non appena le sedie furono tutte quante occupate uscirono i primi piatti, accompagnati da un caldo ed intenso odore di spezie. Ognuno ebbe la sua porzione e lascio al lettore lo sfizio d'immaginarsi quanti fra i suoi più saporiti peccati di gola osi soddisfare la propria fantasia. Risotti, lasagne e paste all'uovo, ravioloni e gnocchetti, salse di pomodoro e funghi trifolati.
Onestà terminò per prima, si ripulì le labbra con decenza e restò pacifica al suo posto. Slealtà, nonostante buona parte del suo piatto fosse già sgombra, accusò i camerieri d'averle servito una porzione ridotta. Coerenza, per sua natura schietta e sincera, accusò Slealtà d'essere falsa e menzognera. Tempesta si sentì chiamata in causa ed eccitata fece di tutto per aizzare i due commensali l'uno contro l'altro. Fortunatamente Quiete, paciere fra le parti e d'animo buono, diede metà della sua porzione a Slealtà la quale, soddisfatta del suo capriccio, ritornò a mangiare in silenzio.
Il banchetto proseguì senza ulteriori screzi fra i commensali. Tuttavia Maldicenza, seduta alla destra di Tempesta, tentò in tutti i modi di riportare la discussione sui toni aspri di poco prima ma Benevolenza, alla sinistra di Tempesta, compensava la becera insolenza delle lingue biforcute.
Dopo una breve pausa giunsero i secondi piatti. Stinco di maiale arrosto, fumante, il cui grasso ancora sfrigolava, polpette al sugo, trota alle erbe, filetti di orata e scaloppine, straccetti di pollo, costolette e calamari. Vita si dava un gran da fare in cucina.
Slealtà, ingorda, tentò il solito gioco delle porzioni dimezzate. Incomprensione stavolta non riuscì a trattenersi e nonostante Quiete ben volentieri donò nuovamente parte della sua razione di cibo a Slealtà, Tempesta si scatenò e fu il caos. Misericordia si alzò e andò via; Onestà, sua grande amica qual'era, la seguì senza indugi insieme a Benevolenza; Quiete, giunti al punto, si piantò una coltellata in petto. Mentre tutti litigavano, fra le urla e le accuse si levò la voce di Ipocrisia:
"Va ancora tutto bene..."
Ognuno di loro andò via lasciando alla Vita doni e grazie. Inaspettatamente però qualcuno si avvicinò alla tavola imbandita: silenziosa prese posto Solitudine e, fra un morso e l'altro, si rese conto che la sua natura non era poi così sciagurata. Ghignò soddisfatta, mentre dalla sua bocca scolava grasso di maiale...
 
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