Rare sono le bellezze che a vederle più di una volta anziché stancarti riescono ancora a sorprenderti, quasi come se ad ogni sguardo si rinnovassero, più sfarzose ed eleganti di prima, lasciando un'aura di sogno e libidine. L'ho rivista tante volte Venezia, in occasioni e circostanze sempre diverse, ma di qualsiasi abito si vesta mantiene sempre l'eleganza di una gran signora le cui grazie non smettono mai d'incantare.
Vestita di colori e stravaganze non l'avevo ancora conosciuta e quale migliore occasione se non quella del Carnevale per incontrarci di nuovo fra gondole e coriandoli.
Per un treno che va, un altro ne viene, e decidiamo quindi di partire nonostante le previsioni non promettano nulla di buono. Un sabato sera di piogge intense rischia infatti di rendere più breve del previsto la nostra gita fuori porta, ma a volte la fortuna aiuta proprio i temerari e poco dopo essere arrivati lo spirito d'arlecchino ci ha concesso di chiudere gli ombrelli. Volendo pur considerare la notte giovane, gli orologi, vittime del divertimento, scandirono ore e minuti al ritmo dei secondi e in men che non si dica le scorribande e gli eccessi tipici del disordine carnevalesco culminarono in un ronfo di nasi dal sapor di domenica.
Una giornata di sole, di ricami e di sfarzi ci attendeva il giorno dopo.
Ad essere testimoni dello spettacolo e dell'ambiente in cui all'improvviso ci si ritrova, è quasi come catapultarsi nel più elegante e nobile Rinascimento, quando ancora l'impiccagione e la ghigliottina sostituivano i servizi sociali e la prescrizione, periodo in cui anche la peggiore delle Ruby manteneva un certo decoro ed onore.
A voler venir fuori dai tempi moderni si fa presto e trovando una maschera la cui appendice nasale è degna delle menzogne dei miei anni ho deciso di trasfigurarmi anch'io. Il cappellino da doge mi conferiva definitivamente l'onorificenza di Sua Serenità che molti in questa vita mi hanno attribuito per via della mia pacatezza d'animo, in siciliano meglio conosciuta col detto di "futtitinni e pensa a saluti", o col dantesco "non ti curar di loro ma guarda e passa", a voler essere poeti.
A voler venir fuori dai tempi moderni si fa presto e trovando una maschera la cui appendice nasale è degna delle menzogne dei miei anni ho deciso di trasfigurarmi anch'io. Il cappellino da doge mi conferiva definitivamente l'onorificenza di Sua Serenità che molti in questa vita mi hanno attribuito per via della mia pacatezza d'animo, in siciliano meglio conosciuta col detto di "futtitinni e pensa a saluti", o col dantesco "non ti curar di loro ma guarda e passa", a voler essere poeti.
Ricoprendo un ruolo fra i giochi e i travestimenti che annullano ogni identità, quasi ci si sente purificati dietro i ricami di plastica delle maschere, come a voler espiare i propri peccati dimenticando se stessi. E allora dame e damigelle, nobili e uomini d'alto rango, cortigiane e regine, spadaccini e moschettieri, tutti e nessuno a far parte del più fantasioso Carnevale che io abbia mai visto, incorniciato in una Venezia signorile e raffinata.
Ogni sogno per quanto bello possa essere non ha altro destino che palesarsi nella realtà, cessando d'esistere.
Il nostro risveglio portava il nome delle Ferrovie dello Stato ed entrare in treno è stato come attraversare il passo delle Termopili in mezzo ai 300 spartani. Alla fine ce l'abbiamo fatta e mentre ci rimettevamo in marcia una donna di mezz'età ha pensato bene di parlare di suo figlio, laureato in fisica nucleare e che non trova lavoro.
A volersi mascherare si diventa buffoni solo in certe occasioni. Per la nostra classe politica, che di maschere non ne usa, deve sempre essere Carnevale...