lunedì 22 dicembre 2014 2 commenti

Copiadanno

Fra le solite luminarie di Natale a intermittenza s'accendono e si spengono gli affetti degli uomini e dei mezzi uomini, mentre per le amicizie, quelle vere, c'è sempre spazio, fin quando non passeranno le feste e ce ne dimenticheremo, abbandonate in uno scatolone polveroso fatto di ricordi e pastorelli. Ed ogni anno si rinnovano, le bugie e le promesse, i vecchi e i nuovi, buoni propositi per tenersi vivi e credere illusi, ancora una volta, che cambiare si può. E tutto cambia, in fondo, per restare com'è. Un nuovo calendario appeso alla parete e una foto da bambino sulla credenza, metafora dei giorni che sono passati, disegnati sui fogli delle copisterie coi nomi dei santi, ma vivi e vegeti nei ricordi di chi li ha vissuti settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno, vedendosi invecchiare, crescere, cambiare.
Tra la fine e l'inizio il salto è breve, ma ad opera già iniziata attendere la fine è una lunga prova di forza e nervi. Lettere d'amore e biglietti d'auguri, anonimi, perché in fondo cosa importa, fa sempre piacere riceverli. Dedicare un pensiero, strappare un sorriso o perdersi fra occhi lucidi ma sconosciuti incrociati per pochi secondi e figli dell'attimo fuggente, in un gioco di schiaffi e carezze, di falsi contatti e scintille, nati dall'incrocio fra la curiosità donna e la scoperta uomo.
Poi mi illudo che le cose peggiori dei giorni nostri inizino la mattina con il caffè bruciato e finiscano la sera con il pattume pieno e il freddo gelido. E mentre qualcuno sceglie se essere vegetariano o di destra, se dire o fare, se mangiare o bere, se Vodafone o Tim, se bianco o nero, se Apple o Android, se le scarpe o la sciarpa, se il mare o la montagna, se Budda o Allah, in nome di Dio salvate la regina perché solo lei può ancora tenerci tristemente ancorati alla falsa speranza che la nostra realtà è davvero quella giusta.
E allora ognuno con la sua forma, calda e confortevole, per vivere per qualcosa o per qualcuno, perché senza nessuno certi fili sottili legati al senno d'identificarsi rischiano di spezzarsi, annullando, dio non voglia, quell'incantesimo che ci rende docili e mansueti e che comunemente chiamiamo ruolo, divisi fra affetti e società. Marito, moglie, figlio, avvocato, dottore, geometra, architetto, scultore, untore, pastore, istruttore, fratello, sorella, amico, zio, zia, nonna, calciatore, conduttore, panettiere, dentista, cuoco, parrucchiere, meccanico, bianco, nero, frocio, lesbica, drogato, barbone, un nome per ogni cosa che ci identifichi e ci cataloghi, perché fra di noi sia facile discernere fra bene e male.
E se volessi provarli tutti, per il gusto di non poter mai dire cosa sono o chiamarmi per nome, per non avere di me una ed una sola idea, per tirare fuori dal cilindro la faccia giusta per ogni occasione. E allora non saprai mai con chi avrai a che fare, perché sarò fuori produzione, senza stampo o marchio. Non ho mai pensato con la mia testa. Non ho mai comprato senza che non mi dicessero dove spendere i miei soldi e non ho deciso io con quale regalo fare bella figura.
Poi mi rileggo, già scritto. Poi mi sento parlare, già detto. E allora mi riguardo, a capodanno un anno dopo, in un film già visto, e ho come l'impressione che di questa vita me ne abbiano data una copia...
sabato 6 dicembre 2014 2 commenti

Bo...nonsai

C'è qualcosa di mistico o quasi surreale fra i tuoi rami e le tue foglie che immobili osservano senza guardare quello che accade intorno a noi, fatti di pelle ed ossa, mentre si muovono emozioni e sentimenti. Ne sembri così escluso che è difficile dire se l'incoscienza ti è stata donata come la più nobile delle concessioni o se è la tua più grande maledizione. Perché niente ti tocca o ti sfiora se non qualche raggio di luce che timido fa capolino fra le tende mentre tu ne assorbi con cupidigia insaziabile linfa vitale. Ti ho visto a colazione, impassibile. Ti ho rivisto a cena, sempre lì, in un legnoso e contorto turbinio di rami e fuscelli, quasi come se l'attimo t'avesse immobilizzato mentre stavi per dire qualcosa, con le parole in gola e le foglie tese a gesticolare.
E se non ti dessi più acqua? E se finalmente ti costringessi a parlare e a soffrire, senza che nessuno ti senta? Così, solo per il gusto perfido di scoprire che sotto quella corteccia scorre succo d'anima, vittima tanto quanto lo siamo noi uomini delle fortune e delle disgrazie della vita. Ma tanto a te non importa, basta poco perché un altro seme venga piantato, senza fronzoli o regali di compleanno, senza inviti o anniversari, senza guerra né pace, tutto secondo natura seguendo una logica talmente razionale da rendere semplice ogni cosa.
Perché non la smetti e ti metti in gioco? Esci dal torpore della terra, strappa via le tue radici e dammi una mano. Non puoi avere altra acqua. No, non ti sposto, stai bene sul tavolo e la luce arriva lo stesso. Non la smetto di fumare in casa, fuori fa freddo e piove, non hai né il naso, né i polmoni, di cosa ti lamenti? Ho visto sai, che le tue foglie stanno ingiallendo. No, non la spengo la TV. Ma poi se ti dà così fastidio perché non me lo dici? Perché continui a guardarmi e non ti esprimi? So che preferivi che ti comprasse quel caro vecchietto vegetariano, pensionato, dalla casa enorme e con la passione per la botanica. Ti ho portato a casa mia, va bene? Rispondimi, rispondimi e sii sincero, vorresti andare via? Fallo. Esci dal vaso di ceramica e scappa via. Non riusciresti a vivere un giorno col mondo freddo che c'è fuori. Devo pure starti a sentire, non mi dai nemmeno frutti, a cosa mi servi?
Giorno e notte, giorno e notte, mentre il sole e la luna si alternano, mentre gli eventi, le sensazioni, i dubbi, i timori e le gioie si susseguono e attraversano le carni fino a raggiungere l'anima di noi uomini, così lontani dalla tua natura implacabile e mite, mentre lungo i rami, la corteggia e le foglie scivola via l'acqua, attraversa la terra e giunge ai tuoi piedi, mentre tutto si rincorre e in un capitombolo inciampa fra le incomprensioni, mentre la vita passa fra le rughe d'espressione, tu, ancora placido, te ne stai a guardare. Fermo.
 
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