domenica 23 settembre 2012 6 commenti

Arrustuta di pipi

Autunno e primavera hanno raggiunto un accordo. Per il momento non c'è dato sapere nulla, se non che gli ultimi sgoccioli di settembre placidi si riempiono del sole d'aprile. Ottobre, novembre, dicembre. Gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio, giugno, luglio, agosto. Settembre, ottobre, novembre, dicembre. Vuoi darti una mossa? Si è già fatto tardi. Niente alcool. Spero che basti per una brace decente. Una borsa piena di peperoni, noie, coscienze e cianfrusaglie. Il terrazzino e l'orizzonte, il cielo terso e un caldo camuffato. Prendi il carbone, ma no, cosa diavolo fai, sono peperoni, non devi arrostire un cavallo. Ne hai messo troppo, e sta' un po' zitto! Guarda quel pezzetto, è troppo grosso, fallo a pezzi. Magari ti faccio arrabbiare un po', così non fallirai il colpo. Ecco, carbone ovunque, raccoglilo. Aspetta, lascialo per terra, poi gli daremo una scopata. No, dai, rischio di camminarci sopra, pestarlo e sporcare tutto quanto. Ok, raccoglili, poi però non lamentarti se t'annoio. Cospargi d'inferno i cadaveri di quegli alberi già passati a miglior vita. La morte veste nero. L'accendino ce l'hai in tasca. S'infiamma tutto in un attimo, come la passione che divampa o l'ira funesta che uccide. Ecco, l'alcool è finito. Quando ne avevi in abbondanza, ti sei divertito a renderti la vita facile, adesso, invece, devi centellinare le tue risorse. Guarda, brucia lo stesso, basta soffiare un po' di più. Con il superfluo sperperi e nella miseria ti accontenti. 
Metto i peperoni sopra? No, aspetta, non è ancora abbastanza caldo. Puoi telefonarle nel frattempo. Dici? La chiamo? Sì, chiamala. Ok. Ce l'ha spento. E' successo qualcosa. Smettila. E' impegnata. Starà studiando. Che ne sai? Piantala.
Ok. Credo vada bene adesso. Prendi i peperoni. Vedi di fargliene entrare il più possibile, no, quell'altro spostalo, giralo e mettilo accanto a quello più grassottello, ecco, va bene. Non avere fretta, non ci vanno tutti quanti, li arrostirai in due tempi. Soffia. Guarda come bruciano. Quell'altro, guarda quello lì come si gonfia, avido d'inferno, fra poco scoppia. Infatti. Lo dicevo io. In alto a sinistra, giralo, sta per bruciarsi. Sembra che alcuni di loro piangano, se ne stanno fermi, ma sentono la brace ardergli sulla pelle. Gira quello. Li stai rivoltando come calzini. Ci stanno rivoltando come calzini. Soffia. Si può sapere cos'hai intenzione di fare? Ma a proposito di cosa? Lo sai bene. Lasciami in pace. No, scusa, non posso lasciarti in pace. Si sta bruciando, quello al centro. Giralo. La vita ci cuoce a puntino. Inquieti su un fianco, poi nell'altro. Chissà se provano dolore. Ma chi? I peperoni? Soffia. Ecco, la solita brace a chiazze. Lì non sta bruciando nulla, è ancora verde. Il solito destino da privilegiato, fagliela vedere, spostalo e mettilo sopra il più grosso ardente tizzone. Soffia, soffia, soffia, fagliela pagare, voleva farla franca, soffia, soffia, ancora, soffia, guarda le fiamme come lo consumano, soffia soffia. Ecco, puoi buttarlo via. Fumo e cenere. Però hai fatto giustizia. Già, fosse così facile. Hai visto la giunta Pdl? Fiorito? E in Campania? E in Calabria? E Grillo? E in Lombardia? E Formigoni ancora al suo posto? Quanta feccia. Vorrei che per ogni peperone ci fosse una vita sprecata. Cosa ti fa credere che tu non meriti quel posto sulla brace? Boh. Ecco, allora sta' zitto. Perfetto, no, fermo, che fai, quello è ancora verde. Ma dove? Sei cieco? Lì! Dai, è perfetto, e invece no! Sì, basta, lo metto in borsa. Sbrigativo, tagli corto. Sei impulsivo. Non è vero. Frettoloso, non pazienti. Non è vero. Dovresti ponderare un po' di più sulle cose. Lo sto già facendo. Cosa ti aspetti da me? Prendi quello in basso, lì, a destra. L'unica triennale di tre giorni la tua. Ho fatto le mie scelte. Te ne pentirai. Vedremo. Venderai l'anima al diavolo? Sì, se mai un giorno mi proponesse lo scambio. Soffia. Ti sta sfuggendo di mano. Ripieni prosciutto, mozzarella e pan grattato. Conditi col superfluo della vita. Come se già non bastassero per natura. Gli ultimi due. Hai quasi finito. Puzzo di fumo. Approfitteremo del caldo, potremmo lavarci in terrazza. Come in estate? Sì. Nudo e crudo, l'orizzonte di fronte. Soffia. Soffia. Soffia. Finito. Adesso qualcuno dovrà pulirli. Hanno scontato la loro pena, passeranno dal purgatorio, spogliati del peccato si vestiranno d'olio, aceto e limone. L'apoteosi. Ti avviso: io non li digerisco. Chiamala. Ok...
giovedì 13 settembre 2012 5 commenti

Dannati a tempo indeterminato

Non è un'offerta di lavoro. Vorrei tanto esservi d'aiuto in questo senso, ma purtroppo i contratti di cui parleremo nel mio post non prevedono retribuzione alcuna.
In queste ultime settimane ho avuto stretti rapporti col demonio. Non abbiate paura, non è necessario un esorcista, mi sono semplicemente dedicato (anima... e corpo) al "Faust" di Wolfang Goethe. Proprio oggi ho finito di leggerlo e, giusto per rincarare la dose passando dal libro al grande schermo (in bianco e nero), ho guardato "la bellezza del diavolo", un film di René Clair, anno 1950.
Nonostante le immancabili incongruenze in alcuni casi necessarie fra il libro ed il film, entrambe le opere narrano la storia del Dott. Faust, uomo di scienza, sapiente filosofo, conoscitore delle più nobili arti, laureato e in cerca di lavoro. No. Aspetta. Siamo nel secolo XVIII. Laureato e rispettabilissimo docente universitario.
I lunghi anni trascorsi sui libri, l'età che avanza e la vita che sfugge via, suscitano in Faust un senso d'inesorabile insoddisfazione lasciandogli in bocca l'amaro retrogusto di chi ha per decenni ricercato il sapere assoluto senza godere del sale della vita. Chiuso nel suo studio, vivendo attimi di profondo malessere, Faust attira il diabolico fiuto di Mefistofele, servitore di Lucifero e malvagio tentatore, il quale gli propone di vendere la sua anima in cambio del raggiungimento del più alto sapere e dei segreti della Natura.

FAUST: "Se ma i verrà il momento in cui io, appagato, mi adagi sul letto del riposo, la sia tosto finita per me! Se lusingandomi potrai mai così illudermi che io mi compiaccia di me stesso, se coi godimenti potrai così ingannarmi, sia quello il mio ultimo giorno! Ecco la scommessa che t'offro."
MEFISTOFELE: "Accettata!"
FAUST: "Ecco la mano. Se mai dirò all'attimo fuggente: Arrestati! sei bello! tu potrai mettermi in ceppi: sarò disposto a perire; e allora la campana suoni pure a morto, sarai esentato dal tuo servizio, si fermerà il pendolo, cadrà la lancetta, il tempo sarà conchiuso per me."

Questo è uno dei due capisaldi attraverso i quali si articolano e si snocciolano le vicende del Faust. Il libro e il film d'ora in poi prenderanno pieghe differenti, ma vorrei che ci soffermassimo un attimo sulle parole di Faust e sul naturale slancio del suo animo verso le vette più alte dell'infinito. Non è forse la stessa ricerca della soddisfazione ultima delle nostre vite? Non è forse l'entelechia verso cui tende ogni singolo attimo della nostra esistenza?
Lo "streben" (l'ambizione, il "tendere verso il gradino successivo dell'appagamento") ha da sempre caratterizzato il fine ultimo delle nostre azioni. E' un processo senza sosta che, partendo dall'inizio dalla preistoria con le più banali scoperte dell'evoluzione umana, giunge fino ai tempi moderni, figli dello stesso desiderio di superamento identificabile nel progresso.
Oggettivamente parlando, è riconoscibile in ogni campo di ricerca e di studio: scienza, medicina, tecnologia, arte, architettura, telecomunicazioni e così via. Parlando di "ricerca del risultato", non mi sentirei d'escludere nemmeno lo sport (vedi "dopati di vita").
Soggettivamente parlando, è ancor più evidente nella costruzione del nostro personalissimo futuro: nascita, crescita, scuola, diploma, laurea, certificazioni, corsi, master, stage, studio, lavoro, studio, lavoro, stipendio, studio, lavoro, stipendio, famiglia, soddisfazione, appagamento, tensione verso l'alto per GODERE dei propri attimi e poter dire come Faust "arrestati! Sei bello!".

FAUST: "Oh, come vorrei vedere questa folla brulicante, come vorrei stare in terra libera fra una libera gente. Allora potrei dire all'attimo fuggente: «Arrestati! Sei bello!»"
MEFISTOFELE: "Nessuna gioia lo aveva appagato, nessuna felicità gli era bastata, sempre anelando a nuove forme di possesso; e poi spunta un ultimo istante, mediocre e vuoto, e il pover'uomo anela a trattenerlo per sempre. Ecco colui che mi ha resistito sì fieramente: il tempo lo ha vinto, giace sulla terra il vecchio. L'orologio si è arrestato."

Questo è il secondo caposaldo della narrazione. Il "genuss" (la gioia, il piacere, il godimento) a cui anela Faust-umanità rappresenta l'interruzione, l'arresto di questo continuo e irrefrenabile ritmo ascensionale per poter finalmente vivere il proprio tempo nella gioia della soddisfazione. Ecco. Sapete meglio di me che questa condizione non è verificabile nel progresso attuale in cui siamo immersi e, a ragion veduta, mai potrà essere plausibile nel futuro che ci attende. Parallelamente alla sorte di Faust, tagliare il traguardo significherebbe raggiungere la fine del nostro tempo (o l'inizio di una nuova, statica vita, conclusa per scopi e obiettivi).

MEFISTOFELE: "Oh, che qualunque cosa facciate siete perduti, o uomini! Gli elementi sono congiurati con noi e tutto tende all'eterno nulla!"

Un contratto a tempo indeterminato esiste e l'abbiamo sottoscritto tutti quanti, non forse direttamente col demonio, ma con noi stessi. Il fine ultimo, l'appagamento, la soddisfazione dell'animo, a qualsiasi costo e a qualsiasi prezzo. La ricerca ultima della felicità per godere dell'attimo. Ma è proprio durante questo stesso percorso ascensionale che "la gente non si accorge mai di avere da fare col diavolo, neppur quand'esso la tiene per il colletto".



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