martedì 24 luglio 2012

Conto fino a dieci

Rozzo e nerboruto, non molto alto, decisamente impulsivo. Mai la vita gli diede l'opportunità d'apprendere la nobile quanto precaria arte del vivere sociale, fatta d'educazione e pazienza. Per molti anni un vecchio orfanotrofio gestito da suore fu la sua unica dimora, spiacevole, poco accogliente, di certo non avrebbe reso orgoglioso il Cristo che gentilmente aveva prestato il nome alla struttura. Non aveva un buon rapporto, né con le suore, né con il resto dei compagni che con lui condividevano quella triste situazione, ma sapeva bene che un tetto ed un pasto caldo muffito raramente lì fuori, con quel caratteraccio, l'avrebbe trovato.
La svolta arrivò ad inizio estate, quando una coppia giovane di sposini a causa della di lui sterilità, ebbe la felice idea d'adottare un pargolo del "Bambin Gesù". Inspiegabilmente, fra i faccini delicati e puliti di coloro che sapevano di giocarsi il futuro in un sorriso, scelsero proprio il suo lerciume. Lui, incredulo tanto quanto i suoi amici per la buona sorte, corse timido ad afferrare le mani dei suoi nuovi tutori, capo chino. Era stato scelto, qualcuno l'aveva accettato e stavolta non con un'ascia (per aver sferrato un cazzotto ad un suo compagno di stanza, infatti, suor Germana tempo addietro lo minacciò con l'accetta per la legna).
Ne venne fuori una famiglia veramente felice. Lo ripulirono, lo sgrassarono per bene, gli impartirono un'educazione ferrea con le giuste sfumature di vizi e capricci. Un nuovo futuro gli si stagliava di fronte, fatto di rapporti umani e di confronti col prossimo. Il padre, insegnante di lettere, gli trasmise la passione per la letteratura e le arti umanistiche; la madre, insegnante di filosofia, lo illuminò con il profondo sapere delle grandi personalità greche. Mise in moto il cervello, ripartirono meccanismi ed ingranaggi che per molti anni, incrostati di ruggine e assopiti dal lavoraccio svolto dalle suore, non gli permisero di sfruttare appieno le sue potenzialità. Tanto fu brillante che i suoi nuovi genitori non ritennero necessario mandarlo a scuola. Aveva tutto ciò che serviva per eccellere e, oltretutto, poteva pur sempre contare sull'aiuto dei due insegnanti di famiglia.
Una sola cosa non riuscirono a correggergli: quella stramaledetta, irrefrenabile impulsività. Perdeva facilmente le staffe e il suo raziocinio correva veloce quando si trattava d'apprendere, ma cozzava contro un'imponente muro quando era ora d'aver pazienza. Per carità, l'educazione e i princìpi che aveva facilmente imparato lo portavano ad uscire fuori dai gangheri per delle palesi ingiustizie, ma non sempre è possibile dar sfogo alle proprie fantasie, perché c'è chi dice che dove difetta la legge terrena ci pensa quella divina.
Gli anni trascorsero tranquilli e le sue giornate si rincorsero l'una dietro l'altra, fra lavori manuali e intellettuali, connubio che ricorda alla mente di tastar le idee con le mani e alle mani d'essere attrezzi della conoscenza.
Accadde una notte, figlia della più spietata insonnia, che a lungo rimase a fissare il soffitto, senza che il sonno potesse far strage dei suoi pensieri. Solo all'alba riuscì a sentire pesanti le palpebre, ma l'inaspettata e folle ingiustizia girò l'angolo disturbando la sua anima. Il vicino di casa, noncurante delle necessità altrui, aveva infatti dato sfogo alle sue libertà lasciando urlare al suo stereo le note di orribili canzoni da dopoguerra. La musica, forte ed assordante, sfondò le pareti della sua stanza picchiettandogli i timpani; l'insonnia tornò e, sentendo la follia salirgli in corpo, uscì di casa, ciabatte e pigiama.
Giunto che era di fronte alla porta del presunto malfattore, bussò con violenza. Gli aprì un ciccione in mutande con aria indifferente, dalla camicia sporca di sugo e il boccone ancora fra i denti. Il nostro vecchio orfanello lo scansò con violenza, facendogli andare di traverso quanto stava tentando di masticare e, raggiunto il salone in cui si trovava lo stereo, afferrando con rabbia una sedia a lui vicina, iniziò a martellare il frutto di quell'odio che tanta rabbia gli aveva suscitato in corpo. Ridusse tutto in mille pezzi, sedia e stereo, poi andò via. Il padrone di casa, spaventato, non ebbe nemmeno il coraggio di replicare.
Tornatosene a casa, finalmente regalò un dolce sonno alle proprie membra.
Accadde, la settimana successiva, che la rabbia del nostro orfanello nuovamente facesse capolino fra le pieghe della sua apparente tranquillità. Stavolta, tornando a casa in auto, rimase bloccato lungo la via da una macchina inspiegabilmente parcheggiata di traverso. Di grossa cilindrata, fiammante ed arrogante, tutto lasciava intendere che i legittimi proprietari di quel mezzo dovessero essere altrettanto superbi. Sentì quella strana e solita sensazione di giustizia ribollirgli in corpo e, senza pensarci troppo, scese dalla sua auto, diretto al rifornimento di benzina più vicino a lui. Riempì quante più bottiglie poté e, tornato sul luogo del misfatto, iniziò a cospargere di carburante la tracotanza che bloccava la strada. Poi, non appena vide d'averla bagnata per bene, diede vita al più grande falò di giustizia che mai illuminò l'umanità. Stavolta, però, qualcuno fece giustizia su di lui e si beccò carcere e denunce.
Pagata la cauzione, i suoi genitori adottivi ebbero l'anima abbastanza pia da ridurre le sue pene. Tornati a casa iniziarono a crogiolarsi e ad affliggersi su cosa essi avessero sbagliato nell'impartire la giusta educazione al proprio figlio. Pensarono a lungo, per giorni e giorni, ma alla fine, perché ogni sforzo di ricerca dona a chi persevera il dolce sapore della vittoria, trovarono il problema: la matematica. Non avevano infatti mai imparato al proprio figlio le tabelline e i numeri; questo chiaramente gli impediva di contare fino a dieci attendendo che il ribollir della sua ira si placasse senza sfogo alcuno.
Iniziarono subito. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.... Bastò arrivare fino a 10. Da allora in poi, in qualsiasi istante la rabbia del nostro orfanello incendiasse la sua anima, una paziente conta numerica gli permise di inghiottire ogni boccone amaro. 
"Ché ad andar avanti ad occhio per occhio, il mondo diventa cieco..."

12 commenti:

Andrea ha detto...

racconto, biografia, parabola, autobiografia? :) Vorrei poter condividere la morale, ma anch'io non ho ancora imparato a contare...

Melissa ha detto...

E' veramente un peccato che i genitori dell'orfanello si siano fermati a 10! Se avessero approfondito, l'orfanello si sarebbe potuto difendere sparando addosso ai suoi avversari raffiche di matrici, teoremi, integrali e derivate. Sono sicura: avrebbe avuto piu' successo di un kalasnikov.

Un bacione,
Melissa

Nicole ha detto...

non solo ciechi , ma anche sdentati. Avveniristico oserei dire...sono 'ironica' ovviamente.
Ovviamente te , sei sempre bravo a scriver per metafore.

Sileno ha detto...

Sai scrivere ed affrontare argomenti particolari e far riflettere a lungo: complimenti!
Ciao e buona estate

Unknown ha detto...

uh, anche io avrei voluto fare solo lezioni di lettere e filosofia ma (per fortuna?) ho imparato a leggere almeno fino a 10 :D

Pierpaolo ha detto...

Ciao Andrea.
Racconto, biografia, parabola, autobiografia? Tutto. Hai ragione, ho messo dentro di tutto. Dallo sfogo meramente scrittorio (onde evitare di rendere reale ciò che per condotta morale deve arrestarsi alla fantasticheria), alla semplice autocritica, ricordando di dover censurare certi comportamenti che poco hanno a che fare con l'indifferenza della pazienza.
Diciamo che sto cercando di istruirmi, ma a volte non si riesce nemmeno ad arrivare a "...3" che salta il coperchio...
A risentirci :)

Pierpaolo ha detto...

ahhahahahahahahaha... Guarda, mi dicono che è già un miracolo che sia arrivato fino a 10. Con la matematica proprio non ha speranze...
Baci anche a te. A presto, magari in carne ed ossa :)

Pierpaolo ha detto...

Spero che basti Turista. A volte occorre estrarre la radice quadrata di 19483029581093581903598120395, dividerla per 3950235235, moltiplicato 3245235235 elevato a 10...

Pierpaolo ha detto...

Ti ringrazio Sileno, spero d'esserci riuscito...
Buona estate anche a te :)

Pierpaolo ha detto...

Ciechi e sdentati? E' un bell'avvenire... :)
Grazie Zia Nicole, a rileggerci...

enzorasi ha detto...

Ho letto attentamente, è un racconto- metafora portato ai limiti del radicale. Ma credo che sia necessario se si vogliono evidenziare certi aspetti della vita.
Se mi permetti un piccolo appunto di tipo logico temporale devo chiederti come è possibile che un ragazzino in età ( presumibile) di 8, 9, 10 anni possa rimettere in moto il cervello e far ripartire meccanismi ed ingranaggi intellettuali e culturali. Costui era dunque un genio precoce a 5, 6, 7 anni? Non è una questione matematica. Ciao

Pierpaolo ha detto...

Non ho specificato le logistiche temporali, ma attraverso alcuni eventi ("tornando a casa in auto") è possibile evincere che il nostro protagonista sia cresciuto abbastanza rispetto ai primi tempi dell'orfanotrofio. Il fatto d'aver raggiunto la maturità senza aver prima imparato a contare non fa di lui un genio precoce, ma un ignorante vittima della vita. Ciao, a presto Enzo.

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