venerdì 19 ottobre 2012 6 commenti

Panta rei

Tirate buoi il vostro carro,
il tempo un unico solco
traccerà sulla terra
inconsapevole.

Inutile voltarsi
ma guarda e passa,
triste gioia rimembra
ciò che visse.

Di ricordi si nutrirà
un campo reso fertile
dall'esperienza del momento
che sfugge, inesorabile.

E l'istante dalla morte fugace
afferrerà in vita
quanto concepirà lo sguardo,
causa del passato.

Perché le acque del fiume
che scorrono pazienti
una ed una sola volta
accarezzano la via.

giovedì 4 ottobre 2012 12 commenti

Convivium

Case umili e basse, essenziali nello svolgere la loro modesta funzione di dimora. La notte stanca ed assopita s'adagiava fra i vicoli e i contorni della città tingendo di nero pece uomini e cose. Un'unghia di luna timida nel cielo sereno litigava con le stelle, ma la sua luce immatura e fioca rendeva impari la contesa, rimandandola a tempi migliori di plenilunio.
Fra le bastevoli sembianze delle abitazioni, un'imponente palazzo si stagliava alto oltre il sopore  della gente comune. La luce che spirava dalle finestre rompeva la quiete del buio contribuendo allo strano senso d'alienazione proprio di quell'edificio. Al suo interno, fra le grasse risate dei vizi, un pugno d'amici intorno ad una tavola imbandita si lasciavano andare alle frivolezze e ai piaceri della vita.
Un'ampia stanza, ben arredata e dal gusto barocco con volte ricamate d'estro creativo e mobili pregiati, accoglieva al suo interno un lungo tavolo sopra il quale ogni sorta di pietanza era prima un trionfo per gli occhi e poi una consacrazione per la gola: polli arrosto fumanti e profumati di spezie, costine di maiale in crosta di pistacchio, salse e sughi d'ogni tipo, polpettone prosciutto, mozzarella e piselli, strozzapreti affogati in crema di scampi, tagliatelle all'uovo con zucchine e gamberetti freschi, ostriche, astici, impepate di cozze, patate al forno dorate come pepite, champagne e vino rosso, rigorosamente servito da grosse anfore di ceramica.
Tutti quanti i commensali s'ingozzavano allegri e felici, mentre i loro sensi venivano eccitati dalle delicate carezze delle loro concubine. Un elemento bizzarro, giustificabile, accomunava tutti i partecipanti, concubine comprese. Erano tremendamente grassi. Grassi a dismisura, il collo incassato fra le spalle, il mento arrotolato su di sé, il ventre estremamente rigonfio e flaccido, indistinguibili i seni fra uomini e donne, le cosce rotonde straripanti dalle sedie come argilla molle, le dita tozze, simili a salsicciotti, afferravano avide il cibo in tavola infilandosi poi nelle boccucce bavose dalle quali tracimava di tanto in tanto qualche brandello di carne o pesce. Simili a grugniti le loro risate s'alzavano alte, sempre più soddisfatte, interrotte solamente dal tonfo sordo di alcune sedie che s'abbandonavano al peso di quella mole informe e viziata. Alcuni di loro, agli angoli della stanza, si spingevano oltre e univano in impasti raccapriccianti i propri sessi con quelli delle concubine. Sporchi di cibo, sudati e impuzzolentiti dal peccato rancido dei loro piaceri, se ne stavano lì, ridendo, mangiando, bevendo, rotolandosi per terra come porci sul vino che dalle anfore, per l'euforia, traboccava via.
Quelli fra loro che non s'erano ancora denudati, portavano scomposti giacca e cravatta. I segnaposto sul tavolo rivelavano i nomi dei commensali: Sicilia a capotavola, a destra Calabria, poco più avanti Campania, ancora dopo Lazio, a seguire Emilia, Veneto, Lombardia e tanti altri. Sicilia, Lombardia e Lazio, i più gravidi di vizio, erano stati i primi a cadere rovinosamente per terra poiché le loro sedie, ormai stanche, non ressero alle vessazioni di quella imponente mole.
Anche le altre sedie cigolavano minacciosamente, aspettando solo il momento propizio per andare in pezzi. 
Le grasse risate in ogni caso non cessavano e corsero nel vento della notte. 
Odiose e rivoltanti sfondavano le porte delle abitazioni limitrofe, disturbando la quiete degli umili cittadini. Usciti controvoglia dal sonno, uomini e donne aprivano lentamente gli occhi...
domenica 23 settembre 2012 6 commenti

Arrustuta di pipi

Autunno e primavera hanno raggiunto un accordo. Per il momento non c'è dato sapere nulla, se non che gli ultimi sgoccioli di settembre placidi si riempiono del sole d'aprile. Ottobre, novembre, dicembre. Gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio, giugno, luglio, agosto. Settembre, ottobre, novembre, dicembre. Vuoi darti una mossa? Si è già fatto tardi. Niente alcool. Spero che basti per una brace decente. Una borsa piena di peperoni, noie, coscienze e cianfrusaglie. Il terrazzino e l'orizzonte, il cielo terso e un caldo camuffato. Prendi il carbone, ma no, cosa diavolo fai, sono peperoni, non devi arrostire un cavallo. Ne hai messo troppo, e sta' un po' zitto! Guarda quel pezzetto, è troppo grosso, fallo a pezzi. Magari ti faccio arrabbiare un po', così non fallirai il colpo. Ecco, carbone ovunque, raccoglilo. Aspetta, lascialo per terra, poi gli daremo una scopata. No, dai, rischio di camminarci sopra, pestarlo e sporcare tutto quanto. Ok, raccoglili, poi però non lamentarti se t'annoio. Cospargi d'inferno i cadaveri di quegli alberi già passati a miglior vita. La morte veste nero. L'accendino ce l'hai in tasca. S'infiamma tutto in un attimo, come la passione che divampa o l'ira funesta che uccide. Ecco, l'alcool è finito. Quando ne avevi in abbondanza, ti sei divertito a renderti la vita facile, adesso, invece, devi centellinare le tue risorse. Guarda, brucia lo stesso, basta soffiare un po' di più. Con il superfluo sperperi e nella miseria ti accontenti. 
Metto i peperoni sopra? No, aspetta, non è ancora abbastanza caldo. Puoi telefonarle nel frattempo. Dici? La chiamo? Sì, chiamala. Ok. Ce l'ha spento. E' successo qualcosa. Smettila. E' impegnata. Starà studiando. Che ne sai? Piantala.
Ok. Credo vada bene adesso. Prendi i peperoni. Vedi di fargliene entrare il più possibile, no, quell'altro spostalo, giralo e mettilo accanto a quello più grassottello, ecco, va bene. Non avere fretta, non ci vanno tutti quanti, li arrostirai in due tempi. Soffia. Guarda come bruciano. Quell'altro, guarda quello lì come si gonfia, avido d'inferno, fra poco scoppia. Infatti. Lo dicevo io. In alto a sinistra, giralo, sta per bruciarsi. Sembra che alcuni di loro piangano, se ne stanno fermi, ma sentono la brace ardergli sulla pelle. Gira quello. Li stai rivoltando come calzini. Ci stanno rivoltando come calzini. Soffia. Si può sapere cos'hai intenzione di fare? Ma a proposito di cosa? Lo sai bene. Lasciami in pace. No, scusa, non posso lasciarti in pace. Si sta bruciando, quello al centro. Giralo. La vita ci cuoce a puntino. Inquieti su un fianco, poi nell'altro. Chissà se provano dolore. Ma chi? I peperoni? Soffia. Ecco, la solita brace a chiazze. Lì non sta bruciando nulla, è ancora verde. Il solito destino da privilegiato, fagliela vedere, spostalo e mettilo sopra il più grosso ardente tizzone. Soffia, soffia, soffia, fagliela pagare, voleva farla franca, soffia, soffia, ancora, soffia, guarda le fiamme come lo consumano, soffia soffia. Ecco, puoi buttarlo via. Fumo e cenere. Però hai fatto giustizia. Già, fosse così facile. Hai visto la giunta Pdl? Fiorito? E in Campania? E in Calabria? E Grillo? E in Lombardia? E Formigoni ancora al suo posto? Quanta feccia. Vorrei che per ogni peperone ci fosse una vita sprecata. Cosa ti fa credere che tu non meriti quel posto sulla brace? Boh. Ecco, allora sta' zitto. Perfetto, no, fermo, che fai, quello è ancora verde. Ma dove? Sei cieco? Lì! Dai, è perfetto, e invece no! Sì, basta, lo metto in borsa. Sbrigativo, tagli corto. Sei impulsivo. Non è vero. Frettoloso, non pazienti. Non è vero. Dovresti ponderare un po' di più sulle cose. Lo sto già facendo. Cosa ti aspetti da me? Prendi quello in basso, lì, a destra. L'unica triennale di tre giorni la tua. Ho fatto le mie scelte. Te ne pentirai. Vedremo. Venderai l'anima al diavolo? Sì, se mai un giorno mi proponesse lo scambio. Soffia. Ti sta sfuggendo di mano. Ripieni prosciutto, mozzarella e pan grattato. Conditi col superfluo della vita. Come se già non bastassero per natura. Gli ultimi due. Hai quasi finito. Puzzo di fumo. Approfitteremo del caldo, potremmo lavarci in terrazza. Come in estate? Sì. Nudo e crudo, l'orizzonte di fronte. Soffia. Soffia. Soffia. Finito. Adesso qualcuno dovrà pulirli. Hanno scontato la loro pena, passeranno dal purgatorio, spogliati del peccato si vestiranno d'olio, aceto e limone. L'apoteosi. Ti avviso: io non li digerisco. Chiamala. Ok...
giovedì 13 settembre 2012 5 commenti

Dannati a tempo indeterminato

Non è un'offerta di lavoro. Vorrei tanto esservi d'aiuto in questo senso, ma purtroppo i contratti di cui parleremo nel mio post non prevedono retribuzione alcuna.
In queste ultime settimane ho avuto stretti rapporti col demonio. Non abbiate paura, non è necessario un esorcista, mi sono semplicemente dedicato (anima... e corpo) al "Faust" di Wolfang Goethe. Proprio oggi ho finito di leggerlo e, giusto per rincarare la dose passando dal libro al grande schermo (in bianco e nero), ho guardato "la bellezza del diavolo", un film di René Clair, anno 1950.
Nonostante le immancabili incongruenze in alcuni casi necessarie fra il libro ed il film, entrambe le opere narrano la storia del Dott. Faust, uomo di scienza, sapiente filosofo, conoscitore delle più nobili arti, laureato e in cerca di lavoro. No. Aspetta. Siamo nel secolo XVIII. Laureato e rispettabilissimo docente universitario.
I lunghi anni trascorsi sui libri, l'età che avanza e la vita che sfugge via, suscitano in Faust un senso d'inesorabile insoddisfazione lasciandogli in bocca l'amaro retrogusto di chi ha per decenni ricercato il sapere assoluto senza godere del sale della vita. Chiuso nel suo studio, vivendo attimi di profondo malessere, Faust attira il diabolico fiuto di Mefistofele, servitore di Lucifero e malvagio tentatore, il quale gli propone di vendere la sua anima in cambio del raggiungimento del più alto sapere e dei segreti della Natura.

FAUST: "Se ma i verrà il momento in cui io, appagato, mi adagi sul letto del riposo, la sia tosto finita per me! Se lusingandomi potrai mai così illudermi che io mi compiaccia di me stesso, se coi godimenti potrai così ingannarmi, sia quello il mio ultimo giorno! Ecco la scommessa che t'offro."
MEFISTOFELE: "Accettata!"
FAUST: "Ecco la mano. Se mai dirò all'attimo fuggente: Arrestati! sei bello! tu potrai mettermi in ceppi: sarò disposto a perire; e allora la campana suoni pure a morto, sarai esentato dal tuo servizio, si fermerà il pendolo, cadrà la lancetta, il tempo sarà conchiuso per me."

Questo è uno dei due capisaldi attraverso i quali si articolano e si snocciolano le vicende del Faust. Il libro e il film d'ora in poi prenderanno pieghe differenti, ma vorrei che ci soffermassimo un attimo sulle parole di Faust e sul naturale slancio del suo animo verso le vette più alte dell'infinito. Non è forse la stessa ricerca della soddisfazione ultima delle nostre vite? Non è forse l'entelechia verso cui tende ogni singolo attimo della nostra esistenza?
Lo "streben" (l'ambizione, il "tendere verso il gradino successivo dell'appagamento") ha da sempre caratterizzato il fine ultimo delle nostre azioni. E' un processo senza sosta che, partendo dall'inizio dalla preistoria con le più banali scoperte dell'evoluzione umana, giunge fino ai tempi moderni, figli dello stesso desiderio di superamento identificabile nel progresso.
Oggettivamente parlando, è riconoscibile in ogni campo di ricerca e di studio: scienza, medicina, tecnologia, arte, architettura, telecomunicazioni e così via. Parlando di "ricerca del risultato", non mi sentirei d'escludere nemmeno lo sport (vedi "dopati di vita").
Soggettivamente parlando, è ancor più evidente nella costruzione del nostro personalissimo futuro: nascita, crescita, scuola, diploma, laurea, certificazioni, corsi, master, stage, studio, lavoro, studio, lavoro, stipendio, studio, lavoro, stipendio, famiglia, soddisfazione, appagamento, tensione verso l'alto per GODERE dei propri attimi e poter dire come Faust "arrestati! Sei bello!".

FAUST: "Oh, come vorrei vedere questa folla brulicante, come vorrei stare in terra libera fra una libera gente. Allora potrei dire all'attimo fuggente: «Arrestati! Sei bello!»"
MEFISTOFELE: "Nessuna gioia lo aveva appagato, nessuna felicità gli era bastata, sempre anelando a nuove forme di possesso; e poi spunta un ultimo istante, mediocre e vuoto, e il pover'uomo anela a trattenerlo per sempre. Ecco colui che mi ha resistito sì fieramente: il tempo lo ha vinto, giace sulla terra il vecchio. L'orologio si è arrestato."

Questo è il secondo caposaldo della narrazione. Il "genuss" (la gioia, il piacere, il godimento) a cui anela Faust-umanità rappresenta l'interruzione, l'arresto di questo continuo e irrefrenabile ritmo ascensionale per poter finalmente vivere il proprio tempo nella gioia della soddisfazione. Ecco. Sapete meglio di me che questa condizione non è verificabile nel progresso attuale in cui siamo immersi e, a ragion veduta, mai potrà essere plausibile nel futuro che ci attende. Parallelamente alla sorte di Faust, tagliare il traguardo significherebbe raggiungere la fine del nostro tempo (o l'inizio di una nuova, statica vita, conclusa per scopi e obiettivi).

MEFISTOFELE: "Oh, che qualunque cosa facciate siete perduti, o uomini! Gli elementi sono congiurati con noi e tutto tende all'eterno nulla!"

Un contratto a tempo indeterminato esiste e l'abbiamo sottoscritto tutti quanti, non forse direttamente col demonio, ma con noi stessi. Il fine ultimo, l'appagamento, la soddisfazione dell'animo, a qualsiasi costo e a qualsiasi prezzo. La ricerca ultima della felicità per godere dell'attimo. Ma è proprio durante questo stesso percorso ascensionale che "la gente non si accorge mai di avere da fare col diavolo, neppur quand'esso la tiene per il colletto".



 Firma
giovedì 30 agosto 2012 2 commenti

(S)guardo

Visto da qui, un chilo di ferro pesa più di un chilo di paglia. Visto da qui, aprire l'ombrello quando piove impedisce ai mari della terra di riversare le proprie lacrime sulla nostra pelle. Visto da qui, non sono gli ultimi ad essere i primi, né tanto meno saranno i primi ad essere gli ultimi, ma semplicemente chi sta in mezzo saprà godersi gli equilibri della vita. Visto da qui, i soldi comprano la felicità, ma sono ugualmente disposti a rivenderla al medesimo prezzo. Visto da qui, sono i mercati ad andare al mercato, riempiendo le borse della spesa di anime e sogni. Visto da qui, lo spread non è il differenziale fra titoli di stato, ma sono le diottrie che mancano agli uomini per poter osservare le stelle. Visto da qui, la Siria non ha abbastanza oro nero da giustificare una missione di pace. Visto da qui, la Libia ne aveva abbastanza da giustificare una guerra. Visto da qui, non è crisi, ma è abbondanza. Visto da qui, non è l'uomo che crede in dio, ma è dio che crede sul serio d'esistere. Visto da qui, l'abito deve fare il monaco. Visto da qui, non è il futuro a far paura, ma è sempre lo stesso passato ad annoiare un po'. Visto da qui, non lo chiamerei pessimismo. Visto da qui, non lo chiamerei ottimismo. Visto da qui, alla fine i conti con la realtà li facciamo tutti. Visto da qui, non sono i calciatori a guadagnare troppo, ma è la gente a passargli lo stipendio. Visto da qui, non è la tassa sulle bibite gassate, è certa gente che si gassa con le tasse. Visto da qui, non è il silenzio a dir di sì, ma è la parola che manca per dir di "no". Visto da qui, non sono i vegetariani a non mangiare carne, sono i carnivori che purtroppo hanno smesso di mangiare vegetariani. Visto da qui, chi dorme non piglia pesci, ma può sempre sognarli. Visto da qui, chi pesca sveglio spesso se ne torna a mani vuote. Visto da qui, non è il tempo ad esistere, ma siamo noi ad avere bisogno di misurarlo. Visto da qui, non è dove sei, ma con chi stai. Visto da qui, non è la luna piena, ma sono gli occhi di chi la vede. Visto da qui, non è il rischio di viverlo, ma di ricordarlo. Visto da qui, non sono i grandi uomini a fare le masse, ma sono le masse a fare grandi gli uomini. Visto da qui, avere paura d'accettare le grandi contraddizioni della vita impedisce d'assaporare la felicità delle coerenze che ne derivano. Visto da qui, non serve che sia "per sempre", ma basta gioire del "per ora". Visto da qui, "occorre che tutto cambi affinché tutto resti com'è". Visto da qui, non è il dirigente, ma sono i diretti interessati. Visto da qui, conveniva un po' per tutti, anziché tanto per pochi. Visto da qui, è meglio una realtà che ferisce di un'apparenza che inganna. Visto da qui, non c'è Jekyll senza Hyde. Visto da qui, l'arcobaleno ha gli occhi azzurri e i capelli biondi. Visto l'orario, credo sia ora d'andare a letto...
domenica 12 agosto 2012 2 commenti

Affittasi bilocale

C'è una stanza nella nostra mente subito accanto a quella della memoria in cui vengono stipati i fantasmi dei ricordi. La memoria tiene la porta sempre aperta e lascia che chiunque, liberamente, possa entrare ed uscire a proprio ghiribizzo e discrezione, inquilini di passaggio.
Tra i ricordi invece è consuetudine che ci sia maggior discrezione, la porta resta sempre chiusa e varcano la sua soglia solamente pochi e meritevoli eletti.
Alcuni se ne stanno lì fermi per anni dopo esservi entrati e invecchiano fra l'odore acre delle sigarette e della monotonia. Non è possibile infatti che abbandonino la propria dimora quando lo desiderano dato che solamente il caso o la triste mancanza può dar loro la libertà. Ed è un bene per la sanità mentale del padrone di casa che se ne stiano per lungo tempo segregati dentro. 
I più giovani ricordi, da poco entrati, sanno che difficilmente verranno chiamati all'appello fuori dalla stanza, per questo se ne stanno silenziosi a girarsi i pollici sdraiati nelle loro brande e guardando il soffitto. Gli anziani, ben coscienti che da un momento all'altro può giungere il loro turno, sono sempre carichi e pronti, in attesa di poter sfogare l'energia accumulata nel tempo che tutti gli uomini sono soliti chiamare "nostalgia".
Basta poco, purtroppo, affinché gli sbarramenti si spalanchino. Un odore familiare, le note già suonate di un'amara melodia o, più spesso, rielaborazioni di realtà vissute e riproposte dal desiderio, ladruncolo da strapazzo che a volte forza la serratura e lascia che ricordi, vecchi e giovani, fuggano via.
Non appena per uno di questi svariati motivi i sedentari e silenziosi inquilini hanno la possibilità d'evadere, s'incanalano come forsennati nel torrente ematico e raggiungono ogni organo o angolo del corpo. La mente, padrone di casa, per evitare lo shock tenta quindi in tutti i modi d'arrestare la loro avanzata; i giovani ricordi, ancora inesperti, vengono a volte ricacciati dentro, ma gli anziani, abili e saggi, guizzano via e corrodono dall'interno.
Come tarli affamati macinano cuore e fegato, creando disturbi e risentimenti. Gli occhi, vittime degli stessi trattamenti, vengono costretti a proiettare nella mente quanto in passato ebbero modo di vedere, perché è proprio l'atto visivo il diretto responsabile della segregazione di giovani ed anziani nella stanza dei ricordi. Per questo motivo, per avere vendetta certa, l'energia sprigionata, la "nostalgia", è così potente da invadere anche gli attimi in cui si guarda la vita ad occhi chiusi, cioè i sogni. Nemmeno loro vengono risparmiati e sfortunata è la sorte di chi sguinzaglia i ricordi nel sonno, poiché è così reale la situazione in cui la mente viene dolcemente catapultata che il risveglio infrange per due volte la speranza che sia ancora una volta tutto vero.
L'unico modo per liberarsi della stanza dei ricordi è l'apatia, ma questo implicherebbe un'esistenza di distacchi, lontana dai piaceri e dal sale della vita.
Alcuni, invece, decidono di rendere innocui i fantasmi del passato rimpiazzandoli con un nuovo presente. Questa però è una soluzione in fin dei conti trascurabile, perché alla sopraffazione dell'uno corrisponde la nuova e possente forza dell'altro.
E' innegabile, a questo punto, che ad ogni mancanza corrisponde il ricordo d'aver avuto, mentre nuovi inquilini vengono ospitati nel corso della vita. 
E secondo il postulato che non esiste "nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria", molti uomini sono indotti ad aver paura della vita e della felicità, scansando quanto di più piacevole possa offrirgli l'esistenza poiché, a ragion veduta, ogni inizio decreta immancabilmente una fine. 
Ma se il timore del non-essere ci priva d'essere, chi può dire d'essere?
giovedì 9 agosto 2012 4 commenti

Schwazer & Co.: dopati di vita

Avrei preferito ricominciare a postare, dopo tutto questo tempo di pausa creativa, senza appesantire le vostre noie con un'attualità che già conoscete. Purtroppo i TG di quest'ultimo periodo hanno contribuito, giorno dopo giorno, ad accrescere i livelli di vomito acido e rancido dentro il mio stomaco fino a giungere, adesso, alla sboccata definitiva con questo post.
Prima gli Europei, adesso le Olimpiadi. Un anno sportivo, pieno d'eventi a rotazione e con la Rai che si rimpinza di diritti televisivi, share e pubblicità. Purtroppo però, nello sport che move il sole e l'altre stelle, un'improvvisa eclissi ha gettato un'ombra densa e pesante su un nostro atleta montanaro e ghiotto di Kinder Pinguì: Alex Schwazer.
Il 6 agosto infatti, dopo un controllo antidoping a sorpresa del 30 luglio scorso, viene trovato positivo all'EPO (eritropoietina), decretando l'inizio del suo inferno in terra fatto di tribolazioni e gogne mediatiche. Una società pulita e corretta come la nostra non può permettersi scivoloni del genere, ancor più in ambito sportivo, dove siamo abbastanza forti da eccellere senza l'aiuto della scienza. Vergogna, biasimo e vituperio quindi brucino come rogo le carni del povero Schwazer, perché noi non perdoniamo, lo sport non perdona, la legge non perdona, le regole... vanno... rispettate... senza "se".... e... senza... "ma"... un gesto... riprovevole... che occorre... condannare?
Io non so se tutte le giornaliste o i giornalisti che si sono cimentati nella diffusione della notizia hanno abbastanza senso della realtà da non rendere i loro servizi così ipocriti e schifosamente falsi. Non posso chiedere, sia chiaro, che non si condanni il gesto di Schwazer, ma ho come l'impressione che tutti ci stiano prendendo un po' la mano e che abbiano trovato il momentaneo capro espiatorio per la purificazione di peccati che da lungo tempo ci si ostina a nascondere.
Lo sport, ormai dagli anni 50, si trascina dietro un'accozzaglia di elementi guasti, falsi e bugiardi che giocano al piccolo chimico. Ogni ambito della vita è intriso della stessa voglia di riuscire e superare il prossimo salendo il gradino più alto del podio, in un circolo vizioso che in onor del fine giustifica ogni mezzo. Non si tratta di doping, si tratta d'arrivare per primi. Ma continuiamo a parlare di sport.
Hulk Hogan nel 1994 in un processo per doping contro la World Wrestling Federation ammise di aver utilizzato steroidi per 12 anni.
Ben Johnson, centometrista, corse come un missile durante i Giochi olimpici di Seoul, vincendo la medaglia d'oro, stabilendo un nuovo record mondiale e stracciando il suo rivale Lewis. Alcuni giorni dopo, analizzando le urine del supereroe, venne rilevata la presenza di steroidi e il povero Johnson fu costretto a riconsegnare la medaglia.
Arnold Schwarzenegger, bodybuilder di fama mondiale e sette volte Mr. Olympia,  ha ammesso d'aver fatto uso di steroidi anabolizzanti. In risposta a quanto dichiarato da Arnold, il vecchio presidente Bush Sr. lo nominò quindi direttore del Consiglio sul Fitness e sullo Sviluppo Fisico.
Sylvester Stallone ha per anni fatto il fattorino degli steroidi. Un po' come l'uomo del latte, con l'unica differenza che davanti al portone di casa lui lasciava siringhe e lacci emostatici. 
Daniele Seccarecci, bodybuilder italiano, è stato da poco arrestato per uso e commercio di sostanze dopanti. Ora, se vi posto una foto di Hannibal Lecter voi dubitate che sia vegetariano. Se vi posto una foto di Seccarecci, credete forse che sia diventato così a fette biscottate e marmellata?


Mark McGwire, giocatore di baseball statunitense, sfondò nel 1998 il record di 70 home-runs. Osannato come un Gesù Cristo nella sua ipotetica seconda venuta, nel gennaio 2010 ammise d'aver fatto uso di steroidi. Barry Bonds nel 2001 ruppe il record di McGwire: 73 home-runs. Almeno lui era pulito. Invece no. Doping anche stavolta. Si alzò un polverone e saltò fuori il nome di Victor Conte, papà steroide, ex musicista, fondatore della BALCO (centro di studio e ricerca). Si scoprì che aveva fornito sostanze dopanti a centinaia di atleti professionisti. I suoi campi di gioco preferiti erano quelli del baseball e delle piste olimpioniche.


Ci siamo limitati al farmaceutico-scientifico, ma non dimentichiamoci che il problema non è il doping in sé, ma il raggiungimento della vetta, con qualsiasi mezzo possibile.
Tonya Harding, ex pattinatrice artistica su ghiaccio, nel 1994 ideò un piano diabolico insieme al marito Jeff Gillooly per mettere fuori gioco la rivale Nancy Kerrigan. Dopo alcune indagini emerse la verità: Jeff e Tonya furono accusati d'aver pagato un teppistello affinché colpisse Nancy al ginocchio con una spranga, in modo da farle guardare i Giochi olimpici invernali dalle tribune seduta comodamente su una sedia a rotelle.
Rosie Ruiz, maratoneta, (e qua c'è da ridere un sacco), vinse nel 1980 la prestigiosa maratona di Boston, siglando il tempo record di 2.31'56'', migliorando di oltre venti minuti i tempi precedentemente stabiliti. Giunse al traguardo fresca come una rosa, non puzzava nemmeno di sudore e spiegò ai giornalisti che, semplicemente, "si era svegliata piena di energie" quella stessa mattina. Già, piena di energie e con i biglietti della metropolitana in tasca. Si scoprì infatti che la Ruiz più di una volta si servì della metro per accorciare le distanze e per questo motivo nessuno poteva testimoniare il suo passaggio ai checkpoint. Perché doparsi, quando puoi semplicemente pigliare l'autobus?
Tiger Woods, celebre golfista statunitense, si è sottoposto ad un'operazione agli occhi detta Lasik e adesso la sua acutezza visiva raggiunge i 20/15. Per rendere l'idea, un occhio sano e funzionale può raggiungere i livelli massimi di 20/10. 
Woods è quindi decisamente sopra la media e potrebbe infilare senza problemi una pallina da golf nel vostro ano mentre correte nudi dall'altra parte della strada.

Adesso tenetevi forte perché siamo alla frutta.


E' proprio questo il punto. "Ogni singola persona cerca d'avvantaggiarsi sull'altra, al fine di vincere quella determinata battaglia". Qui non si tratta di Schwazer, non si tratta di Arnold o di tutti gli altri fanfaroni che hanno venduto l'anima al diavolo pur d'arrivare in alto. Il problema è la lunga, incessante corsa dell'evoluzione e della sopravvivenza che lascia spazio solo al mito, al supereroe, dove non c'è posto per i mediocri ma solo per chi eccelle. E la società marcisce, perché ogni concorrenza può essere una minaccia e a decretare chi sarà il pesciolino rosso o lo squalo lo decide chi per primo mangia l'altro. Non c'è tempo, in ufficio, in pista, in strada, in campo, sul ring. La vetta non aspetta. 
Schwazer non impersona il dramma dell'atleta che è caduto nel baratro del doping, vorrei che lo capiate. Schwazer è l'ennesima metafora di una vita che non conosce morale e sa contare solamente fino ad 1. 


(gli spezzoni che ho caricato sono stati estrapolati dal film "Bigger, Stronger, Faster")
 
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