giovedì 14 giugno 2012 8 commenti

I cartoni animati e il genio Groening

Nonostante possa sembrare un argomento insolito da affrontare, vi assicuro che molti e interessanti saranno gli spunti di cui servirsi per far nascere un post fruttuoso.
La storia dei cartoni animati è piuttosto lunga e non sono abbastanza anziano da poter dire di conoscerla tutta quanta. Diciamo che la fervida immaginazione dell'uomo ha posto le basi per la moderna animazione che noi tutti conosciamo sin dai tempi delle prime pitture rupestri. Non che fossero animati, ovviamente, ma è innegabile che avessero in comune la stessa rappresentazione di un susseguirsi di immagini ed eventi che permettessero il passaggio dalla staticità al movimento, tentando di suscitare nell'osservatore il senso dell'azione.


Il tempo ed il progresso hanno poi permesso alle tecniche di perfezionarsi fino a raggiungere, sempre tramite quella antichissima successione di immagini statiche, la rapida e reale sensazione di dinamismo suscitata dall'animazione vera e propria.


Molti sono gli esempi da poter fare tracciando per grandi linee la storia dei cartoni animati. Da quelli un po' più sempliciotti e bucolici come "Heidi" passando per gli educational come "Esplorando il corpo umano". Senza tralasciare le vie di mezzo, forse un po' meno istruttivi ma fortemente distruttivi, come "Ken il Guerriero" o "Dragon Ball", la cui sospensione della programmazione non può nemmeno essere decisa dal Padreterno in persona.
Ne sto dimenticando una marea, lo so (Pollon, Lady Oscar, Kiss Me Licia, le tartarughe ninja e tante altre cianfrusaglie), ma preferirei giungere subito al nocciolo della questione.
Non me ne vogliano gli appartenenti alle passate generazioni che sono cresciute con cartoni animati un po' più datati, ma le vecchie forme di intrattenimento, a mio parere, erano un po' più scialbe di significati. Scialbe in che senso? Scialbe nel senso che il cartone animato in sé lasciava il tempo che trovava. Heidi, le caprette e le sue avventure, Lady Oscar, la spada e le sue avventure, Kiss Me Licia, l'amore e le sue avventure, Dragon Ball, le mazzate e le sue avventure, I Cavalieri dello Zodiaco, Paolo Fox e le sue avventure. In questa serie di "sue avventure" la società vivente, indipendentemente dal tempo storico, veniva tagliata fuori dallo svago del cartone animato. 
Perdonatemi se infierisco ulteriormente contro la storia della vostra infanzia, e in parte anche della mia, ma oggi le nuove generazioni (alla faccia della "cara vecchia età dell'oro dell'animazione") possono dire d'essere cresciuti con colui che secondo me, azzardo, è il genio del cartone animato impegnato: Matt Groening.
Matt Groening è conosciuto come il papà dei Simpson e Futurama. Nonostante le prime puntate e le prime stagioni risentissero ancora dell'alone del "cartone animato a sé", le ultime serie sono molto più argute e attraverso battute a tratti irriverenti ma dal fine significato, riescono a dar da pensare. Futurama, dal nome vagamente intuitivo, narra le avventure di Philip J. Fry, catapultatosi nella New York del 3000 a causa di un'ibernazione accidentale. Lo stesso Fry avrà modo di scoprire che il futuro, apparentemente ricco di novità e di progresso, trascina con sé i fardelli e le noie del suo passato, tanto lontano quanto così paradossalmente vicino al nuovo, quarto millennio (corruzione e vizi umani compresi). I Simpson, attraverso il loro classico spaccato di vita americana, rappresentano gli eccessi e le derive di una famiglia disordinatamente comune. A tratti satirici, comici, dall'umorismo caustico ma sempre profondamente attuali e d'attualità. Non mi dilungo oltre, dato che William Irwin, Mark T. Conard e Aeon J. Skoble hanno indagato abbastanza sulle sfaccettature a tratti filosofiche di questo non-cartone animato pubblicando un libro che presto spero d'avere:
Dando a Cesare quel che è di Cesare e lasciando a loro (Irwin, Conard e Skoble) il merito d'aver indagato le reali corrispondenze che I Simpson inevitabilmente hanno con il nostro quotidiano, vorrei tentare d'analizzare una puntata di Futurama frutto dello stesso genio che ha contraddistinto e contraddistingue le produzioni di Groening.
Futurama, sesta stagione, puntata n.3: "L'attacco di un App". Potete vederla con calma qui (adesso senza sottotitoli e in italiano): 
Vi sembrerà stupido, ma la trovo una puntata così piena di significati che sembra quasi impossibile si siano palesati tutti quanti in soli 20 minuti.
Supponendo che voi abbiate guardato l'episodio del link poco sopra (altrimenti è inutile continuare a leggere), vorrei proporvi alcune delle mie personalissime riflessioni.
Al minuto 1:52 Fry, fattorino spaziale della Planet Express, giunge insieme ai suoi colleghi nel Terzo Mondo del Sistema di Antares per scaricare rifiuti elettronici. Il parallelismo è presto fatto: 
L'ironia di Groening può sembrare paradossale (l'uccello che si polverizza attraversando la nube "min 2:32", il cane che perde la coda mentre beve da una pozza "min 2:55", i bambini che cercano fra i rifiuti "min 3:04"), ma trascina con sé il sapore amaro della realtà concreta.
Al minuto 3:55 arriva la pubblicità alla TV e scende in campo l'IPhone (per problemi di copyright chiamato EyePhone) e ci si dimentica dei buoni propositi poco prima fatti sul riciclaggio e sul risparmio. Lo spot televisivo enuncia le inutili qualità, in maniera eccessiva ma realistica, di questo nuovo gioiello della tecnologia che, fin quando non esisteva, non sapevi d'averne bisogno.
Al minuto 5:29 arriva l'ansia del compratore, colui che di corsa vuole investire il proprio denaro prima che le scorte, realmente infinite ma per evidenti strategie di mercato beffardamente limitate, possano esaurirsi ("forse ce n'è uno").
Subito dopo il venditore spiega chiaramente a Fry le reali complicanze di un aggeggio così tecnologicamente avanzato e delicato. Valutandone i pro e i contro, dovremmo essere spinti a non comprare. Ma l'istinto di Fry punta solamente a soddisfare il proprio desiderio di possedere l'EyePhone, oltre la sua reale utilità ("Shut up and take my money!!").
Inizia l'odissea di coloro che utilizzano con inettitudine lo strapotere dei Social Network e del web: la condivisione di video, immagini, stati d'animo, gusti personali... Il virtuale impara a conoscerti e il merchandising sfonda le porte della tua privacy (e chi ha Facebook come me sa che, inspiegabilmente, se si è appassionati di tennis, sulla propria bacheca appaiono gli spot della Dunlop).
Fry dice chiaramente d'avere problemi con i funghi (l'ironia assoluta di Groening) ed il suo EyePhone gli propone al minuto 9:01 l'"Antifungina di Mamma", memore delle informazioni da lui diffuse e da qualcuno recepite.
Al minuto 10:00 inizia la diffusione da parte degli internauti di video ed immagini trash per accaparrarsi il consenso generale virtuale. Altro parallelismo. Ultimamente Youtube brulica di fenomeni da baraccone che tentano d'avere visibilità cercando di rendersi stupidi o quantomeno divertenti. Ai limiti dell'umiliazione personale, a volte. E alcuni hanno un gran coraggio, devo dire. Mi spiace sporcare il mio blog, ma mi sembra giusto fornirvi un esempio...
Ecco, Fry ci prova con Bender e la loro diventa una gara di Followers (cioè di discepoli fedeli alla propria persona virtuale). Inizia la demenza e anche i colpi bassi sono ammessi per accaparrarsi il consenso generale (decadenza di ideali e dignità, 'mmonnezza indifferenziata nel web).
Nel frattempo il virus si diffonde e la curiosità spinge a ruota l'acquisto di EyePhone nel nome della diffusione virtuale. La società si appiattisce fossilizzandosi sul mero, nudo e crudo scambio d'informazioni inutili e pacchiane.
Emblematica la fine dell'episodio. Fry raggiunge la quota dei suoi followers mentre dietro di lui una folla inanimata, inconscia ed inetta si trascina verso il negozio di Mamma, pronta ad acquistare, cartamoneta in mano, il nuovo EyePhone 2.0...  "Yeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeehhh!!!....
Dumb Bastards!
Questo che vi ho riportato è solamente un esempio di puntata scelta a casaccio. Tante altre hanno il sapore del concreto e non posso che consigliarvi di cominciare a seguirli, se non lo state già facendo, sia I Simpson che Futurama. Perché, fidatevi, "il mio cartone è differente!"
martedì 29 maggio 2012 6 commenti

Trovami la fine

"Oh Antonio, ciao! Come vanno le cose?"
"M-E-R-A-V-I-G-L-I-O-S-A-M-E-N-T-E bene..."
"Minchia! Addirittura, mi fa piacere"
"Macari a mia. Gli amici ci sono, il lavoro c'è, gli affetti pure. E quannu hai chisti tri cosi, cos'altro ti serve?"

Non che io non ci abbia mai pensato (perché se non lo facessi avrei scarsa considerazione del mio futuro), però quella poco sopra è una breve conversazione che mi ha spinto a riflettere su cosa abbia realmente bisogno la mia vita. E non bisogno di quei bisogni superficiali o materiali. Parlo di cibo di prima qualità, abbastanza buono da sfamarla.
Indipendentemente dal lavoro di Antonio, la sua risposta lascia intendere che la sua vita ha concluso. A proposito di concludere, ho estrapolato per voi da Wikiquote una frase di Pirandello che mi piace spesso cercare di ricordare:

"La facoltà d'illuderci che la realtà d'oggi sia la sola vera, se da un canto ci sostiene, dall'altro ci precipita in un vuoto senza fine, perché la realtà d'oggi è destinata a scoprire l'illusione domani. E la vita non conclude. Non può concludere. Se domani conclude, è finita."

Una vita "conclusa" credo sia direttamente legata ad una vita "realizzata". E la voglia di realizzare e realizzarci non può che essere il motore che ci spinge a meccanizzarci e a muoverci per collocarci all'interno della nostra esistenza, rendendola paradossalmente concreta (come se fino ad allora non lo fosse).
Tuttavia non ho ben capito quali siano le sensazioni o l'insieme delle emozioni che rendano una vita "realizzata". Non credo che i miei dubbi siano frutto dell'assenza di progetti per il futuro, ma è il raggiungimento del "concludere" che non riesco a chiarire e, riflettendoci un po', c'è il rischio che quegli stessi, ipotetici progetti non concludano nemmeno loro.
La prima cosa da fare, mi sono detto, è cercare l'etimologia della parola "realizzare". La storia che le parole portano con sé (e che non è possibile studiare all'università perché, per quanto mi riguarda, diventerebbe maledettamente noiosa e poco personale) rende già abbastanza giustizia ai significati delle cose. 



Fonte: www.etimo.it


Il "reale" del realizzare riguarda prima di tutto le cose. Oggetto che esiste, che concerne i fatti delle cose esistenti, la vita ha concluso.
Cosa significa comunemente realizzare?
Per qualcuno vuol dire farsi una famiglia, avere degli affetti intorno e servirsene per colmare i propri sensi d'appagamento d'esistenza. E' un concetto che rasenta l'egoismo forse.
Alla famiglia molto spesso, anzi, necessariamente, si affianca il lavoro. Questo punto, il più caleidoscopico e dalle mille sfaccettature, realizza per alcuni e accontenta per altri. In quale momento della propria vita si può dire d'essere professionalmente realizzati? Ci sono delle classi lavorative che possono sentirsi più appagate d'altri? Sentirsi professionalmente realizzati, prescinde dal ruolo ricoperto all'interno della società o dalla retribuzione mensile?
In questi casi non si realizza; oserei dire che si materializza. E' altrettanto vero che ci si aspetta e si mira ad ottenere, per questioni di sopravvivenza quasi naturali, il massimo da se stessi e per se stessi, sfiorando i limiti della sopraffazione dei simili. Ma "realizzare" la propria vita tramite il confronto con le altre, rende forse le nostre esistenze funzionali e direttamente asservite ai comuni e non personali sentimenti del "concludere"? E' possibile in tale modo dirsi "realizzati"? O è meglio dire che ci si realizza per merito dell'altrui concepimento della nostra persona "realizzata"? In questo caso credo sia corretto affermare che siamo disposti ad affidare a terzi la nostra vita. Senza riconsiderare il fatto che rendiamo il Reale tramite il materiale, e questo non mi sembra logicamente coerente.
Prendendo il postulato per buono, rendere reale la nostra realtà nella maggior parte dei casi vuol dire quindi materializzare sogni e aspettative. Non solo materializzarli concretizzando il migliore dei nostri mondi possibili, ma toccando con mano (quindi possedere tramite oggetti che esistono), i risultati da noi raggiunti (diploma, laurea, casa, auto, moto, cellulare, benessere, proprietà, vacanze, terme, viaggi, ecc.). Piccoli passi verso la nostra eventuale conclusione vengono mossi tutti i giorni, nella staticità del quotidiano e nel movimento delle nostre vite. Ma in quale momento della nostra corsa è possibile fissare il traguardo?
Non so, personalmente, che rispondermi. Vorrei che voi vi rispondiate, altrettanto personalmente. E' possibile che l'unico capolinea coerente con la conclusione e con la realizzazione delle nostre vite sia stabilito dalla morte, momento in cui non ci viene più data l'opportunità di muoverci e di scorrere lungo il nostro percorso? In questo caso spiegheremmo la "realtà del realizzare" con l'inconoscibile dell'irrealtà, perché nessuno è mai tornato dall'Ade per narrarci la non-vita. E questo risulterebbe ancora una volta logicamente incoerente.
Ditemi, come pensate di "realizzare" e concludere la vostra vita?
Forse è ora d'andare a letto presto...
mercoledì 16 maggio 2012 4 commenti

Europoly

Un maggio stanco, inutile, come le vie di mezzo che non sanno da che parte schierarsi. O lasci che l'estate prenda il sopravvento o contratti con la primavera, addirittura con l'inverno. La scuola stava per finire, gli ultimi sforzi d'ordinaria amministrazione prima del risveglio dei sensi.
Italo se ne stava tranquillo e silenzioso, piegato sul dizionario di latino tentando di rovistare fra le defunte parole che risuscitarono poi l'italiano. Suonò il telefono.
"Italo, sono Germano. Hai da fare? Perché non vieni da me? Ho preso un gioco da tavolo fantastico. Ci sarà da divertirsi. Ah, un'ultima cosa. Chiama Ellade, io informo Ispanico e altri 23 amici. Ci vediamo qui alle 18:00."
Erano le 17:30. Italo sapeva bene che non avrebbe mai potuto finire in tempo la sua versione, ma la voglia di scoprire le nuove cianfrusaglie di Germano era fin troppa. Scese di corsa, chiamò Ellade e confermarono gli impegni presi. La madre di Italo, origliando dalla cucina la telefonata e il fermento del figlio, chiese spiegazioni. Italo spiegò ed allora giunse la fatidica domanda:
"Hai fatto i compiti?!"
Italo, con sicurezza malcelata, rispose di sì. Ordinaria amministrazione, anche in questo caso.
In meno di mezz'ora giunsero le 18:00. Ellade, Ispanico, Italo ed altri 23 fanciulli, puntuali e con lo stesso brio in corpo di un merluzzo panato immerso nell'olio bollente, attesero che Germano aprisse loro la porta. Finalmente.
La porta si aprì e Germano li accolse invitandoli ad entrare. Dopo i convenevoli di rito, si accomodarono tutti quanti in una grande sala preparata per l'occasione. Germano era un tipo schizzinoso e pignolo, a certe cose ci teneva.
Su di un tavolo rotondo al centro della sala se ne stava inerme e silenzioso il gioco di cui Germano con orgoglio parlava. Europoly.
"Prego, accomodatevi. Prima di iniziare la partita occorre che io vi spieghi le regole di Europoly!"
Tutti quanti presero posto, ma una sedia rimase vuota.
"Dunque, vi spiego. In Europoly i giocatori competono per guadagnare denaro mediante un'attività economica che coinvolge l'acquisto, affitto e commercio di proprietà terriere mediante denaro finto. I giocatori a turno muovono sul tabellone di gioco secondo il risultato del tiro di due dadi. Il gioco prende il suo nome dal concetto economico di monopolio, il dominio del mercato da parte di un singolo venditore. Per evitare che qualcuno di noi si carichi il noioso fardello di gestire i denari della banca centrale, ho invitato pure mio padre. Sarà lui il nostro banchiere."
Un omone entrò in sala, vestito di tunica nera con cappuccio, dal volto completamente coperto. Se avesse avuto una scure fra le mani si sarebbe detto in giro che il padre di Germano facesse il boia.
"Siete pronti?! Iniziamo! Ecco i vostri soldi e le vostre proprietà! Un'ultima cosa. Ad ogni passaggio dal via dovrete pagare degli interessi alla banca in base al valore della moneta che la banca stessa vi ha prestato e in base alla credibilità che vi guadagnerete durante il gioco! Tranquilli, stiamo pur sempre usando denaro finto..."
Tutti si guardarono perplessi. Ellade, che con la filosofia a scuola se la cavava ma in matematica era proprio una merda, sentiva il prurito del malaugurio all'ano. Italo, figuriamoci, era negligente con i compiti per casa, poteva forse sperare di seguire le regole del gioco? Ispanico? Non ne parliamo. Gli altri 23 fecero la loro partita, ma arrancavano tutti quanti di fronte alle abilità di Germano che, avendo comprato il gioco una settimana prima, oltre a studiare il regolamento, si era informato per benino su Google e sapeva come muoversi.
Lo stronzo saputello della classe, Francesco, se la cavava. Ma a primo turno beccò la galera e rimase fermo un giro.
Italo tirò i dadi. Sei.
"Imprevisti. Cazzo. Giro di prostituzione minorile: andate direttamente in prigione e senza passare dal via."
Francesco uscì. Tirò i dadi. Undici.
"Probabilità. Gheddafi minaccia il tuo petrolio. Spese di guerra: 5 milioni per ogni caccia e 2 milioni per ogni elicottero."
Dadi su dadi. Tiri su tiri. Germano iniziò a costruire case ed alberghi su Parco della Vittoria e su Viale dei Giardini. Nel frattempo i debiti verso la banca centrale si alzavano vertiginosamente ed inevitabilmente. Chi aveva liquidità in mano pagava e continuava a giocare, gli altri non poterono far altro che chiedere nuovi prestiti in cambio delle merendine portate da casa.
Toccò a Ellade, lo sfigato. Tirò i dadi. Dieci. Niente. Lo stronzo di Francesco, che non sapeva farsi i fattacci suoi, precisò:
"Hai fatto doppio, devi ritirare."
Ellade ritirò. Tre caselle lo dividevano dal Parco della Vittoria. E cosa uscì?
"TRE!!! PUTTANA EVA A TE! CHE TU SIA MALEDETTO! Quanto ti devo, Germano?!"
"Mi devi 70 miliardi" rispose Germano prepotente.
"Ma io, non posso, non posso pagarti, non riesco, non arrivo, non ho tutto quel denaro. Ho un debito pubblico con tuo padre al 144,9% del PIL. Come faccio? Ho pure finito le merendine..."
"Mi spiace, dovrai abbandonare Europoly..."
Il padre di Germano s'alzò e si allontanò per qualche minuto. Tornò lentamente seguito dal macabro trascinarsi del metallo freddo di una scure sul pavimento. Alzò il destro e prima che Ellade potesse alzarsi dalla sedia lo giustiziò. Germano, per niente scosso da quanto era appena successo, sicuro di sé riprese i dadi.
"Tocca a me..."
Gli altri giocatori, impauriti e col cuore in gola, volevano volentieri tornarsene a casa, abbandonando Europoly con la testa sulle spalle. Ma il terrore li paralizzava saldandoli alle sedie.
Italo, nel frattempo, stava per uscire di prigione e Viale dei Giardini non era poi così lontano come sembrava...


(la descrizione utilizzata da Germano per spiegare il funzionamento del gioco è stata liberamente tratta da "Wikipedia - Enciclopedia Libera" essendo sintetica, completa e adeguatamente chiara)

venerdì 4 maggio 2012 8 commenti

La Selezione Umana

Purtroppo per voi, e magari anche per me, ultimamente sto tentando di leggere "l'origine delle specie" di Charles Darwin. Dico purtroppo perché scorrendo le pagine metto in moto le mie strambe idee e non ho spazio alcuno da dedicare loro se non questo blog (a scapito di chi andrà a leggerle, queste idee, ovviamente). 
Dato che non ho mai avuto rapporti consapevoli o diretti né con il creazionismo né con l'evoluzionismo, sto cercando di muovermi nel miglior modo possibile fra le numerose falle del mio scarno sapere, ringraziando di tanto in tanto lo stesso Darwin per la semplicità con cui mi imbocca le sue teorie. La vera magia del suo manoscritto credo sia proprio questa: rendere potabili per la gente comune argomenti così spinosi, senza il minimo rischio di banalizzare troppo le tematiche da lui trattate.
Ho avuto tempo e modo di pensare fra un capitolo e l'altro, senza rileggere troppe volte la stessa riga per cercare di comprendere meglio, e credo che le massime da lui scritte non siano in grado di esonerare dal discorso la nostra specie, quella umana.
Beninteso: non ho la benché minima intenzione di raggiungere i gradini toccati dalla sapienza di Darwin, essendo io ben consapevole di non poterli neanche osservare dal basso poiché il mio basso è troppo basso da poter quantomeno scorgere la sua altezza. Tuttavia vorrei condividere con voi queste mie riflessioni, partendo da semplici citazioni e, qualora ci fosse la possibilità di far nascere un confronto, tanto di guadagnato per tutti.
Inizierei partendo da una frase di Robert Malthus: 

"La popolazione, se non è controllata, cresce in proporzione geometrica. I mezzi di sussistenza crescono solo in proporzione aritmetica"  
Thomas Robert Malthus (1766 – 1834), economista inglese

Questo fu il principio che suggerì a Darwin il concetto di lotta per la sopravvivenza e di vittoria, chiaramente, del più adatto. La popolazione mondiale infatti cresce secondo lo schema 1-2-4-8-16-32-64 e così via, a differenza delle risorse disponibili che si basano sullo schema 1-2-3-4-5-6-7 e via discorrendo. E' chiaro che una parte della popolazione è evidentemente costretta a dover morir di fame da quella restante parte, benestante o comunque capace di raggiungere i generi di sussistenza di cui ha bisogno. E' altrettanto chiaro che maggiore è la proporzione e peggiori saranno le condizioni di coloro che non riusciranno a condurre una vita degna di tale nome. Per ammortizzare tale problema è necessario quindi che il numero dei lavoratori aumenti e che le zone mondiali sfruttabili siano in costante crescita. La crescita della popolazione però, indipendentemente dalle risorse disponibili, continuerà comunque ad avanzare e sorgeranno i medesimi problemi di sopravvivenza. Le soluzioni a portata di mano sono quindi sempre le stesse, lavoro e produzione, lavoro e produzione, volgendo necessariamente lo sguardo a mezzi di supporto come il progresso e le tecnologie per avere sempre di più, in minor tempo e per più persone. Gli aspiranti lavoratori saranno, in ogni caso, altrettanti di più rispetto alla produzione possibile ed è chiaro che la lenta ma costante svalutazione del lavoratore e del lavoro da lui portato a termine è inevitabile. La bolla quindi cresce ed implode, cresce ed implode, alternando periodi di prosperità per alcuni e di sofferenza per altri, nell'inarrestabile ed inevitabile lotta per l'esistenza. Se poi a tutto ciò aggiungiamo che se geometricamente UNO mangia aritmeticamente per QUATTRO, i conti del malessere dei TRE sono presto fatti. 
E' dunque aperta la lotta per la sopravvivenza e, sotto i colpi del progresso, dell'evoluzione e della selezione, lascerà scampo a pochi fortunati.

"Quindi, poiché nascono più individui di quanti ne possono sopravvivere, deve necessariamente esistere una lotta per l'esistenza, fra gli individui della stessa specie, fra quelli di specie diverse, e di tutti gli individui contro le condizioni fisiche della vita." 
Charles Darwin (1809 - 1882), naturalista britannico

Darwin afferma in più punti che la lotta per la sopravvivenza è inevitabilmente più aspra fra individui della stessa specie e credo che non sia difficile capire il perché. Condividendo una razza, infatti, se ne condividono anche le abitudini e le comuni necessità e la parola "condividere", per chi ha bisogno di sopravvivere, implica la stupidità di chi è disposto a sacrificare il proprio bene per la vita altrui. In natura non succede. Fra uomini nemmeno. Se già il discorso potrebbe essere complicato qualora si considerassero le mere esigenze per la sopravvivenza, figuriamoci quando il progresso a volte ottunde i sensi e ci impone di possedere anche il superfluo. Il rapporto fra chi porta a casa la vittoria e chi perisce si complica ancor di più e la bilancia non può che tendere a sfavore dei molti per il beneficio di pochi.

"La natura concede per il lavoro della selezione naturale, periodi lunghi ma non indefiniti, poiché, dato che tutti gli esseri viventi lottano per conquistare il proprio posto nell'economia della natura, se una specie qualsiasi non si modifica e si perfeziona in grado corrispondente ai suoi concorrenti, sarà sterminata."
Charles Darwin (1809 - 1882), naturalista britannico

La selezione umana non è da meno ed opera, a mio parere, attraverso due differenti metodologie. La prima la chiamerei selezione artificiale ed è direttamente controllata e coordinata dal lavoro umano. Esempi banali di selezione artificiale possono essere fatti prendendo in considerazione i vari concorsi, colloqui o provini di lavoro per entrare a far parte del mastodontico universo dell'economia. Tale prima selezione differenzia gli idonei dai non idonei estraniando coloro che non vengono ritenuti adatti dal sistema di funzionamento comunemente accettato. 
Altri banali esempi di selezione artificiale possono anche verificarsi all'interno dei rapporti sociali. L'escluso ricoprire il ruolo di chi, per un qualsiasi futile motivo dovuto al proprio modo di vedere la vita o di viversela in maniera differente dalla collettività, viene tagliato fuori dall'abituale circuito culturale a lui avverso e nel quale è stato, sfortunatamente, immerso. Tali difficoltà d'integrazione non solo portano al totale allontanamento di colui che porta con sé il pomo della discordia, ma ne causano anche una sua eventuale scomparsa dal comune concepimento del modo di vivere la società, in quanto elemento debole. Il pensiero dell'uomo corre quanto la crescita della popolazione e forze invisibili, ma non tanto, rigetteranno fino ad estinguere quanto di inadatto risiede e minaccia la sopravvivenza delle comunità favorite.
La seconda via secondo cui opera la selezione umana è semplicemente definibile naturale. Il controllo dell'uomo qui, come nelle specie vegetali o animali, non è direttamente influente. Addosserei la colpa di tale selezione alle capacità con cui nasciamo, all'ereditarietà dei caratteri che ci permettono d'avere in alcuni casi vita facile (magari attraverso qualità fisiche) e al quoziente intellettivo che ci trasciniamo dietro. Nonostante alcuni di voi possano ritenere questa mia ultima considerazione alquanto stupida, credo che una prima, invisibile selezione venga inevitabilmente operata distinguendo fra chi è capace di ritagliarsi un posto all'interno della consolidata società e chi invece, magari per questioni d'inettitudine, viene tagliato fuori dai meccanismi.
Tale perfezionamento della razza è figlio diretto del progresso che ha di conseguenza bisogno di menti sempre più abili e rilevanti. Se non fosse stata operata tale selezione mentale, probabilmente il nostro progresso, privato delle menti che gli hanno permesso di nascere, non sarebbe ai livelli che attualmente gli riconosciamo. 

"Perciò le specie rare si modificheranno o miglioreranno meno rapidamente entro un dato periodo; di conseguenza esse saranno sconfitte nella lotta per la vita dai discendenti modificati e migliorati delle specie più comuni."
Charles Darwin (1809 - 1882), naturalista britannico

"Ciò che è più importante è che le nuove forme prodotte in grandi aree, e che sono già riuscite vittoriose su molti concorrenti, sono quelle che si diffonderanno più ampiamente, e daranno origine al più gran numero di nuove varietà e specie."
Charles Darwin (1809 - 1882), naturalista britannico

Mi sembra banale far notare inoltre che i nostri mondi economicamente sviluppati e probabili vincitori di questa selezione stiano lentamente soggiogando i popoli sfavoriti nella senza tempo lotta alla sopravvivenza. Le vessazioni, i soprusi, le ingiustizie e le prepotenze per il bene dei forti a scapito dei deboli non possono essere nascoste e nel confronto fra popoli è raro che a spuntarla sia lo sfavorito. Tutto opera secondo il medesimo disegno attraverso il quale lo spazio di sopravvivenza del meno influente viene ridotto a beneficio dell'abbondanza di chi ha il potere di controllare lo sviluppo della specie.

"La sola cosa che possiamo fare è di tenere sempre presente il fatto che tutti gli esseri viventi tendono a moltiplicarsi in progressione geometrica, che ciascuno di essi deve lottare per l'esistenza e subire grandi distruzioni, in determinati periodi della vita, in determinate stagioni dell'anno, nel corso di ogni generazione o a intervalli periodici. Quando riflettiamo su questa lotta, possiamo consolarci con la piena convinzione che nella natura la guerra non è continua, che la paura è sconosciuta, che la morte è in genere assai pronta, e che gli individui vigorosi, sani e felici sono quelli che sopravvivono e si moltiplicano."
Charles Darwin (1809 - 1882), naturalista britannico
venerdì 20 aprile 2012 7 commenti

Se Pinocchio avesse avuto il Baygon...

Credo sia abbastanza scontato il fatto che conosciate Pinocchio. Le generazioni successive al 1881 non possono non ricordare la storia del burattino di legno e di Mastro Geppetto. Carlo Collodi, che la morte non se lo portò ancora via essendo figlio attualissimo nei ricordi delle nostre infanzie, ha reso granché arduo il compito di noi fanciulli di dire bugie essendo particolarmente forte, in tenera innocenza, la paura di sformare il nostro naso. 
Come dimenticare poi il petulante Grillo Parlante, ché se la nostra coscienza fosse realmente un insetto molti di noi (compreso io) avrebbero da tempo usato un insetticida. Nonostante le sue intenzioni, quelle del Grillo intendo, fossero più che condivisibili, a volte è anche un po' soddisfacente imboccare le strade sbagliate per poter imparare dai propri errori.
A distanza d'anni però, quel caro vecchio Grillo ha preso le sembianze umane di un comico genovese, riccioluto, robusto e sudaticcio. Il "Pinocchio" di turno siamo tutti quanti e il Grillo anziché essere Parlante è Beppe.
Ora, non so se il Grillo di Collodi si sia mai dato alla politica o avesse fatto le Amministrative, però il Grillo che è toccato a noi si sta dando il suo bel da fare. E, credetemi, vorrei che il mio Baygon funzionasse anche coi Grilli di cognome, oltre che di fatto.
Ultimamente, a seguito degli scandali e delle metastasi politiche che sono venute fuori, le percentuali di voto del nostro Grillo di turno sono salite di qualche buon punticino.
Nonostante il mio parere potrebbe non interessare a nessuno, sono disposto a correre il rischio chiarendo a me stesso le mie posizioni in un soliloquio di pura pazzia.
La prima definizione che Wikipedia riporta in merito alle occupazioni di Beppe Grillo è quella di "comico". In alcuni casi sono un tipo vecchio stile, forse tradizionalista e muffito, però vorrei tanto che colui che politicamente mi dovesse un giorno rappresentare non abbia mai calcato palchi differenti da quelli delle campagne elettorali. Questo implica che sia stato formato da un certo percorso, che sia nato e cresciuto fra le istituzioni e che porti sempre un certo rispetto verso i doveri che è tenuto immancabilmente a seguire. E' altrettanto ovvio poi che buone dosi d'onestà e senso della legalità non possono mai mancare, visti gli spettacoli che ultimamente siamo tenuti a seguire anche da parte di politici dal passato rispettabilissimo.
Non che si navighi nell'oro, però TU, elettorato che decidi d'andare a votare, non puoi sostenere Grillo. Non puoi, è impensabile sostenere Grillo. Grillo è un aizzatore di folle, è un demagogo, è un comico, è scurrile, razzola proprio male e candida un ventenne alle Amministrative (e lo dico da ventenne). E' innegabile che trovi terreno fertile per le sue scorribande essendo i partiti allo sfascio, però mi preoccupa non poco che qualche italiano, fragile in fiducia, possa dargli credibilità. La politica di Grillo viene portata avanti sulle politiche errate degli avversari, dice ciò che la gente vuole sentirsi dire ed ha l'abilità, avendo calcato i palchi della risata, di strappare applausi gratuiti su battute che da comico possono anche essere di prim'ordine, ma da uomo politico sono proprio di cattivo gusto.
Non che io ne capisca qualcosa o voglia pormi sul piedistallo del politologo, però è evidente che Grillo non possieda la stoffa dell'abile statista. Non prendiamoci in giro, dagli applausi da ridarola alle scelte di responsabilità passano mari e monti.
Apprezzerei decisamente di più le sue giuste cause da opinionista perbenista che da uomo da comizi. E le sue adunate di folla, le sue petoratio più che peroratio, sono tremendamente uguali, paurosamente uguali, riportando le solite, offensive arringhe contro tutto e tutti.
Grillo a volte dimentica i suoi milioncini di reddito e dimentica il suo condono, però ha il copione da teatrante ben scritto, volgare e palesemente strumentalizzato per ottenere consenso (in maniera alquanto triste).
L'arma di Grillo è proprio questa, quella demagogica, capace d'affascinare gli animi della gente con le parole prima che con i fatti. E le parole, finché le lasciamo al Grillo Parlante di Collodi che non deve esporsi più di tanto, possono anche avere il beneficio di non avere un contrario. Ma quando la vita ti pone di fronte alla coerenza delle azioni si rischia di fare un grosso buco nell'acqua e, permettetemi d'esprimere un'opinione, il Grillo di Cognome è politicamente un incapace. 
Spero solo che gli illuminati si muniscano presto di Baygon e, piuttosto che votare Grillo, se ne stiano a casa.

lunedì 9 aprile 2012 11 commenti

Chiamali Don Chisciotte e Sancio Panza

Ultimamente mi sono messo d'impegno per finire il Don Chisciotte della Mancia. Lo leggo prima d'andare a dormire e considerando gli orari in cui vado a letto risulta chiaro che osservo più l'oscurità che la luce del sole durante le mie 24 ore. Ammetto che mi strappa più di una risata ed è raro che io rida leggendo un libro. Di base, essendo una storia di fantasia, mi porta a sorridere proprio perché alcune situazioni sembrano essere così lontane dalla realtà che le assurdità che portano con sé sono i precursori dell'ironia. Alzo un muro fra realtà e finzione nel lasso di tempo che intercorre fra la luce del sole e il buio. Col sole ascolto i telegiornali, al buio leggo il Don Chisciotte. Questa quotidiana alternanza fra il vero ed il falso ha dato vita ad una paradossale corrispondenza fra i due momenti rendendoli più convergenti che divergenti. Tg, Don Chisciotte, tg, Don Chisciotte, tg, Don Chisciotte, Don Tisciotte, Don Tigisciotte.
Poi un bel giorno Belsito trascina Bossi e la Lega in un vortice di scandali e malaffare. Il mio muro definitivamente cade ed ogni volta che leggo il Don Chisciotte col Sancio Panza penso al Senatur e a Berlusconi. La Padania e la cavalleria errante, le toghe rosse ed i mulini a vento, l'acqua del Po e il balsamo di Fierabraccio, il governatorato di Sancio e l'Italia di Silvio.
Nonostante io sia evidentemente di parte dato che mi affascinano non poco i parallelismi che sforano la fantasia e stuzzicano la realtà, è innegabile che in alcuni casi i mentecatti del libro e quelli in carne ed ossa si somiglino.
Guardalo a Bossi, a cavallo di una Trota, con la passione per le cose che non esistono, dal membro duro e forte, contro i felloni in nome del secondo lui bene comune, battezzato al fiume Po, con la sua schiera di cavalieri, in cerca d'avventure e col dito medio per aria.
Guardalo a Don Chisciotte, a cavallo di Ronzinante, con la passione per la cavalleria errante, dal braccio vigoroso e saldo, contro i felloni in nome del secondo lui bene comune, cresimato cavaliere, in cerca d'avventure a con la spada per aria.
Guardalo a Berlusconi, con la passione per i denari, amante delle donne a pecora, con la passione per il governo, con la lingua propensa a dir stronzate, incosciente statista e fedele ai suoi asini.
Guardalo a Sancio Panza, con la passione per i denari, amante del suo gregge da buon pastore, con la passione per i governi, con la lingua propensa a dir stronzate, incosciente scudiero del suo padrone e fedele al suo buon ciuco.
E poi gli incantatori, gli incantatori che in fondo fanno sempre comodo a Don Chisciotte per giustificare la nuda e cruda realtà con l'espediente della finzione spacciata per verità. Sancio, che conosce quanto matto sia il suo padrone ma gli regge il gioco con la speranza del governatorato. Il governatorato di Sancio, iniziato sotto una buona stella e finito con le di lui dimissioni (sia del Sancio finto che del Berlusconi vero). Una fittizia Dulcinea del Toboso d'impareggiabile bellezza, una mai esistita nipote di Mubarak, un Europa che se la sghignazza alle nostre spalle ed un duca ed una duchessa che riempiono di burle il cavaliere dal prode braccio col suo fedele scudiero. E vagano, Don Chisciotte e Sancio Panza, con la cavalleria errante in testa e tutte le buone volontà che servono per raddrizzare i torti. Una sola ed unica differenza mi permette ancora di leggere Cervantes senza confonderlo con Ezio Mauro: i personaggi del libro sono due mentecatti in un mondo di consapevoli, i personaggi dei quotidiani sono due consapevoli in un mondo di mentecatti.




venerdì 30 marzo 2012 6 commenti

INFERNO - CANTO XXXVII

TEMPO: 30 Marzo 2012

LUOGO: Inferno. Girone dei banchieri. In una ipotetica piazza affari dannata, banchieri ed economisti passati a miglior vita bruciano senza pietà su roghi di fiamme alimentate dalla stessa quantità di cartamoneta che tastarono in vita. Essendo infinito il supplizio economico dei vivi, altrettanto durature saranno le sofferenze dei maledetti figli del capitalismo per le speculazioni e le ingiustizie che li videro protagonisti.

COLPA: Speculazione premeditata.

PENA: Contrappasso per analogia. Come in vita portarono inferno in terra a coloro che non possedevano cartamoneta, adesso per mano dello stesso denaro bruceranno per l'eternità.

D'odor di barbecue fui traversato,
tant'intenso ch'allo stomaco piacque
benché galeotto fu l'esser tentato.

Lo gran Maestro che prima d'allor tacque
prese voce come cor che si spaura:
«Brucia la carne da cui soldo nacque».

Giacché capirlo fu impresa dura,
fatti che fummo ancor più vicino
compresi del terror la sua natura.

Legati al palo a capo chino
ardevano tra le fiamme del rogo
i banchieri col denaro divino.

Urlavan del grande dolor lo sfogo,
maledicendo l'etterna valùta
che la vita altrui tenne in giogo.

Monti al rogo d'Euro parol s'aiuta:
«Ch'io dannato bruci per la ricchezza,
ché la dignità in fango trasmuta».

La sua carne disciolta più di mezza
pietà fra altri chiedeva da anni,
ma arde l'Euro che più non apprezza.

Ma in vita son fessi a tal danni.

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Nelle puntate precedenti:



 
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